Franco Battiato, a Bisceglie un live memorabile tra costellazioni e stelle cadenti

Le canzoni più note di Franco Battiato, quelle che tutti noi ci siamo ritrovati a cantare almeno una volta nella vita, sono le protagoniste del ‘Up patriots to arms Tour’. Lunedì 8 agosto all’Arena del mare di Bisceglie il Maestro, così chiamato dai suoi fan più affezionati (“Sapete che non lo sopporto ed è per questo che lo fate”, ha detto scherzando quasi a chiusura dello spettacolo), ha ripercorso in ventinove canzoni e circa due ore di concerto gran parte della sua carriera dal 1979 fino ad oggi, privilegiando i brani più amati dal pubblico.

Il tutto è stato pensato per gli spettatori, a cui Battiato si è rivolto spesso durante la serata: ‘Up patriots to arms’, d’altronde, è proprio un invito a destarsi dai periodi bui e a ricacciare quell’oscurantismo in cui vogliono intrappolarci politici, dirigenti e direttori artistici (“L’Impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne, mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura”, recita). Non è un caso, quindi, se questo brano del 1980 sia stato scelto come apertura di tutte le date del tour. E non è casuale se tutte le canzoni interpretate sembrano suonare identiche alle versioni in studio, come se Battiato volesse dirci: “Ve l’avevo anticipato già nel ’79 (si ascolti Magic shop) o nell’83 (Un’altra vita) che sarebbe andata a finire così; è stato tutto scritto nero su bianco già allora, quindi non c’è bisogno di cambiarlo”. Introducendo proprio Un’altra vita, l’artista ha ribadito il concetto: “La canzone che arriva adesso l’ho scritta più di trent’anni fa: risentita oggi dimostra che in questo Paese non cambia mai nulla”. E poi al bando il Battiato dipinto dai media come distante e musone: il cantautore è riuscito a trasmettere vitalità e gioia anche solamente accennando un passo di danza o con la sua mimica o schermendosi timidamente dinanzi alle ovazioni del pubblico sotto gli spalti. “Dovrei avere una mano di tre metri”, ha detto alla fine dell’esecuzione di E ti vengo a cercare, intendendo che avrebbe voluto un contatto fisico proprio con tutti. La sua empatia con la gente in platea è stata tangibile. È un Franco Battiato allegro, in vena di battute quello che abbiamo ritrovato su quel palco. Come quando ha raccontato di avere visitato San Pietroburgo e di essere rimasto delusissimo dalla Prospettiva Nevski, da lui solo immaginata quando scrisse l’omonima canzone (“Mi sembrava come corso Buenos Aires a Milano”) o di quando qualche mese fa una presentatrice “di uno dei nostri programmi tv da basso ventre, presentando La cura, sottolineò come amava particolarmente quel verso che, secondo lei, recita ‘Vagavo per i campi di tennis’, invece che ‘del Tennessee’. Non so come sia andata a finire, forse l’avranno fatta dirigente Rai”. E interpretando una strofa di Magic shop ha scherzato: “Questa la interpreto come un rapper italiano” (forse Jovanotti?). Una ventata di leggerezza non facilmente ritrovabile di questi tempi in altri suoi colleghi, o presunti tali, delle nuove generazioni di cantanti.

Leggerezza è stata proprio la parola chiave di questo spettacolo, termine inteso come soavità, dolcezza: ogni singolo brano, anche quelli più ‘commerciali’ (pensiamo a quelli dell’album ‘La voce del padrone’, di certo non adorati dal cantautore siciliano), è come se siano riusciti a trasmettere nuovi spunti di riflessione, inseriti in scaletta accanto a pezzi sacri della canzone d’autore come Povera patria o La cura, o cover di brani francesi come J’entends siffler le train di Richard Anthony e la toccante La canzone dei vecchi amanti di Jacques Brel. Con il trittico Voglio vederti danzare, Summer on a solitary beach e Cuccurucucù il pubblico delle ultime file si è come ribellato alla rigida divisione per settori e ha superato le transenne per avvicinarsi al palco e scatenarsi in puro spirito anni ’80. Anche il Maestro ci ha preso gusto e tra un “Siete pronti?” e un “No entiendo nada”, quasi a voler dire “Non ci sto capendo più niente”, ha condotto per mano gli spettatori fino alle ultime tre canzoni di questo memorabile live. L’addio, scritta per Giuni Russo nel 1981 e incisa da lui per la prima volta solo nel 2008, ci ha riportati a un’atmosfera magica: il palco a pochi passi dal mare, il carro dell’Orsa da un lato, la luna dall’altro e una stella cadente che è sfrecciata nel cielo quando Battiato ha intonato i primi versi del brano, come se la stessa Giuni avesse lanciato un segnale dal cielo, forse una lacrima. La conclusione è stata affidata a Stranizza d’amuri e alla gettonatissima Centro di gravità permanente, intonata e richiesta dai fan poco prima. Battiato, poi, è scomparso nel nulla. Inghiottito da un’automobile di servizio, pronta sotto il palco, è stato portato via, come un alieno di ritorno alla base dopo una ricognizione sul pianeta Terra.

Uno spezzone del concerto:

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