Ben Harper e Musselwhite: con ‘Get up!’ appagate gran parte delle attese

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Due visioni che collidono, interloquiscono e si amalgamano. Ben Harper e Charlie Musselwhite hanno età, background, prospettive e attitudini diverse, ma sono accomunati da una profonda passione per il blues. Ben Harper, il bravo ragazzo della California tutta sole e possibilità, e Charlie Musselwhite, il maturo armonicista scampato all’inferno, dopo diversi approcci approdano ad una collaborazione organica cercata per anni. ‘Get Up!’ è concettualmente un album che ripercorre l’ideale sentiero che congiunge il delta del Mississippi a Chicago e fissa l’accampamento in quella Memphis che ha dato i natali alla Stax. Il disco esce proprio sotto il marchio della gloriosa label, fucina di talenti nel periodo d’oro della black music. Chiusa l’era Virgin, Harper riparte dal proprio studio di registrazione, ricreando un ambiente che profonde rilassatezza e ispira un sound rinnovato nel solco della tradizione.

La collaborazione gravita attorno ad archetipi blues che hanno il pregio di non risultare mai dogmatici e che, anzi, mutano espressione asseverando la profonda connessione tra i diversi stili della musica americana. Una fiammeggiante commutazione che si esalta tra incursioni soul, alterazioni rhythm and blues, echi folk e pressioni rock. Un blues non proprio delle origini – calderone nel quale è stato gettato più volte questo disco – quanto un blues “di mezzo”, dagli ambiti imprecisati che lascia apprezzare l’alchimia ricreata tra “the ace of harps” e il cultore della chitarra slide. Per tutta la durata dell’album Harper e Musselwhite si avvicendano nell’accendere o spegnere il sound, in un susseguirsi di scambi tesi a rimarcare le doti dell’uno o dell’altro. Nell’introduttiva ‘Don’t Look Twice’, Musselwhite taglia le dense atmosfere prodotte da Harper ogni volta che la sua armonica Seydel bacia il bullet mic. Tra i diversi spunti di riflessione offerti da ‘I’m In I’m Out And I’m Gone’, pare addirittura palesarsi la figura mitologica di Stagger Lee, mai esplicitamente citata, che rifiuta ogni redenzione e rivendica ogni trascorso (“My life needs no witness/ And my burden is my own”).

Digressivo, il ritmo vivace e popolare di ‘We Can’t End This Way’ si contrappone a parole che inneggiano alla giustizia sociale così da forgiare un componimento atipico. D’impatto, l’atmosfera di ‘I Don’t Believe A Word You Say’ è trainata con impeto dai Relentless7 (il chitarrista Jason Mozersky, il bassista Jesse Ingalls e il batterista Jordan Richardson) in una spirale di energica, seppur vaga, negazione. La morbida ‘You Found Another Lover’ è sottolineata dal mood malinconico dell’armonica ed esalta i tratti distintivi di un Harper capace di irretire, come in passato, con la sola duttilità vocale e l’accompagnamento della chitarra acustica. Circostanziare il perimetro di certi drammi è sempre stata una prerogativa del blues. E’ calata in questa consuetudine ‘I Ride at Dawn’, traccia dedicata a tale Nicholas P. Spehar, fratello di un amico di Ben morto in uno dei tanti fronti di guerra che gli Stati Uniti mantengono pervicacemente aperti. Le liriche sembrano intrise di una stantia retorica a stelle e strisce, e la ballata risulta agiografia del soldato che perpetra ineluttabilmente l’orrore della guerra (“I was born for battle/ I was born to bleed/ I was born to help those/ Who have dreams of being free/ Mother stop your crying/ Sister dry your eyes”). E’ l’unico brano che non prevede il coinvolgimento di Musselwhite.

Tempo sostenuto per ‘Blood Side Out’, scritta con il chitarrista Mozersky, che in scaletta precede la title track. Magnetica, graffiata dalla Weissenborn di Ben e sospesa tra il basso pulsante di Ingalls e il pattern di Richardson, ‘Get Up!’ aspira alla perfezione. La musica è generosa, forte di un groove che arpiona, ma il testo non manifesta appieno quei riferimenti – solo inconsci – di pedagogia rivoluzionaria enfatizzati altrove dall’acume di Bob Marley (‘Get Up, Stand Up’) e dei Clash (‘Know Your Rights’). Ripescato dai ’60, l’incedere festaiolo di ‘She Got Kick’ è pura magia del repertorio black. Se Harper e Musselwhite decideranno di inserirla nella set list dell’unica data italiana del loro tour (il 3 luglio al Pistoia Blues Festival), Piazza del Duomo potrebbe trasformarsi in una gioiosa ballroom a cielo aperto. ‘All That Matters Now’, toni sfumati e malinconici, chiude il lavoro. ‘Get Up!’ è un album che funziona come un vecchio whiskey: brucia alla prima sorsata, poi porta in dote il comfort dell’alcool e, proprio come un vecchio whiskey, non lascia adito a grosse sorprese. Pur appagando gran parte delle attese.

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