Sanremo 2013, Blastema: “La vera musica è sui palchi, non dietro una scrivania”

Blastema (foto di Marco Nofri)

Energici, vivaci, decisi: più semplicemente rock. Sono i Blastema, la band nata in Romagna, nella culla del rock indipendente italiano. Scoperti da Luvi De André e Dori Ghezzi, sono pronti per allargare i propri orizzonti. La band (composta da Matteo Casadei alla voce, Alberto Nanni alle chitarre, Michele Gavelli alle tastiere, Luca Marchi al basso e Daniele Gambi alla batteria) ha da poco pubblicato il secondo album ‘Lo stato in cui sono stato’ (Nuvole Production/ Sony Music) e, tra meno di un mese, gareggerà tra i giovani a Sanremo. Per conoscerli meglio abbiamo intervistato il frontman del gruppo, Matteo Casadei.

Il vostro gruppo nasce ufficialmente nel 1997, ma col tempo ha cambiato, in parte, la propria composizione. Qual è il fil rouge che lega la formazione iniziale a quella attuale?
Sicuramente l’amore e il rispetto per la musica, l’umiltà, il senso del dovere e la voglia di divertirsi con i propri compagni. Niente di incredibile, insomma.

Nel 2010 è uscito il vostro primo disco, ‘Pensieri illuminati’, che si presentava come una raccolta del lavoro prodotto fino a quell’anno. Con il vostro nuovo cd, invece, cosa volete esprimere? Come si è svolto il lavoro di produzione dell’album?
‘Lo stato in cui sono stato’ è l’esigenza di creare un moto, una forza che libera dalla stasi e inevitabilmente connota un prima e un dopo. Attraverso il gesto netto di separazione, gestazione inevitabilmente violenta, l’individuo si riscopre particella devota ad una suprema unità o contenitore egli stesso di infiniti “mondi possibili” e, all’interno di questo labirinto di specchi, ogni singolo stato – quello interiore, quello sociale, quello politico – pretende la propria soddisfazione, la propria creazione, il proprio mantenimento. In funzione di questa idea abbiamo sviluppato la preparazione del materiale da inserire nel disco in un periodo piuttosto breve, lesto, fedeli al principio del primo sguardo, del primo respiro, della prima impressione con cui si assumono gli elementi di un mondo ancora sconosciuto.

Il singolo ‘Tira fuori le spine’, definibile come una sorta di inno alla vita, è accompagnato da un video girato da Cosimo Alemà. Com’è stato collaborare con il regista?
Interessante e coinvolgente come può essere lavorare con un grande professionista. Il vero valore aggiunto di quell’esperienza, però, è stato l’incontro con gli attori del video (i ragazzi della cooperativa E.C.A.S.S., ndr) e i momenti trascorsi insieme.

Siete stati scoperti sul web da Luvi De André che, con la madre Dori Ghezzi, ha deciso di produrvi. Credete che la rete sia ormai un canale indispensabile per la musica?
Sicuramente la rete è un canale importante per il presente della musica e lo diventerà ancora di più in futuro. Attenzione però: è vero che dà visibilità, ma in un universo così variegato e oberato di messaggi e tentativi di espressione, potrebbe anche essere che progetti interessanti, per il solo fatto di non avere un appeal, diciamo consono alla rete, passino in secondo piano se non addirittura vengano dimenticati. Ricordiamoci che la musica, quella vera, la si fa su un palco, non dietro una scrivania.

Proprio recentemente c’è stato l’anniversario della morte di Giorgio Gaber. Voi, inoltre, siete prodotti dagli eredi di un grande artista come Faber. Quanto la musica d’autore ha influenzato la vostra cultura musicale e quanto influenza le vostre produzioni?
Per onestà bisogna ammettere che le nostre radici affondano in un altro tipo di dimensione autoriale, quella spuria dove inevitabilmente le parole sono condotte dal suono e dalla musica, e le nostre influenze sono sicuramente più figlie dei paesi anglofoni che non dell’Italia.

Nel 2012 vi siete esibiti sul palco del concerto del Primo Maggio. Com’è stato suonare davanti a un così grande pubblico? Qual è il ricordo che portate da questa esperienza?
E’ stato fin troppo emozionante e assai breve. Lo ricordo come si ricorda un’indigestione dopo una grande abbuffata.

Provenite da una gavetta underground. Cosa ne pensate dei talent-show e di chi vi partecipa?
Ognuno fa la sua strada, quella che ritiene più appropriata; non diamo giudizi su qualcosa che non conosciamo.

C’è qualche artista italiano con cui vi piacerebbe collaborare in futuro?
Non uno, tanti. Cristina Donà, ad esempio, è una tra questi.

Tra meno di un mese calcherete un altro importante palco, quello del Teatro Ariston di Sanremo. Come mai la scelta di avvicinarvi a un mondo musicale un po’ lontano dal vostro?
Più che una scelta la definirei parte di un percorso che ci ha condotto anche a Sanremo, un mondo dove non è inusuale trovare degli artisti che hanno e meritano tutto il nostro rispetto e che provengono da generi non propriamente radiofonici o televisivi. Per cui non ci vedo niente di strano nella nostra partecipazione.

Il brano che portate in gara si intitola ‘Dietro l’intima ragione’. Di cosa parla e com’è nata la canzone?
L’idea della canzone è nata in studio mentre stavamo ultimando ‘Lo stato in cui sono stato’ e ha preso forma via via, fino a raggiungere l’attuale fisionomia. Il pezzo sviluppa una considerazione: perso non è colui che non sa dove andare, ma chi si dimentica perché è partito. Occorre ritrovare il senso, segretato, per l’appunto, dietro l’intima ragione di ognuno.

Cosa vi aspettate dal Festival?
Dal Festival non ci aspettiamo che di divertirci.

 

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