Francesco De Gregori: ‘Sulla strada’ trasuda narrazione e gioca con la quotidianità

Francesco De Gregori è rimasto uno dei pochi artisti in Italia che esce con un nuovo disco solo quando ha qualcosa da raccontare. Altrimenti preferisce il silenzio. E ci sarebbe da ringraziarlo solo per questo. Il Principe torna quindi dopo quattro anni dall’ultimo cd di inediti (‘Per brevità chiamato artista’) e lo fa con queste nove tracce di Sulla strada che sono colme fino all’orlo di storie, trasudano narrazione, giocano con la quotidianità, in bilico su un filo che attraversa l’ironia e la malinconia, mischiandole con semplicità e sapienza.

Facile incasellare un personaggio come De Gregori in confini prestabiliti come quelli del folk o del cantautorato, ma, senza mettere in dubbio quanto entrambe le anime siano presenti in questo nuovo lavoro, Sulla strada è di più, spingendosi oltre quei familiari confini. E’ un disco di cui tutti noi, amanti del genere, fan, ammiratori, o rockettari più radicali, avevamo bisogno. Ne avevamo bisogno per la delicatezza con cui viene raccontato l’Amore in Falso movimento (ultima traccia in scaletta): Amore che, nella creazione di un’immagine degna del miglior cineasta, ci siede accanto a tavola e “muove le mani in fretta, rovescia il sale…”. Ne avevamo bisogno perché, con Guarda che non sono io (archi di Nicola Piovani), ci fa entrare nel solco in cui uomo e artista si allontanano, nel punto esatto dove De Gregori è solo Francesco.

E se al primo ascolto questa potrebbe sembrare una presa di distanza dal proprio mestiere e da tutto quello che ne è, a volte fastidiosamente, il contorno, De Gregori è capace di trasformarla nella dichiarazione d’amore più bella e più vera che si possa ricevere, con una sincerità che, proprio in quanto disarmante, lascia in ammirazione. Ne avevamo estremo bisogno per la bellezza e la perfezione di un brano come Showtime, con quel verso iniziale “che posso farci se mi fai sognare?” che sembra scritto cinquant’anni fa e fa assomigliare questa canzone a una di quelle degli anni Sessanta che ancora amiamo tanto. Poi, certo, c’è anche il De Gregori folk della title-track o de La guerra, o quello più legato alla linea cantautorale classica di Passo d’uomo (un altro piccolo gioiello), c’è la presenza della bella voce di Malika Ayane che lo accompagna in Ragazza del ’95 e Omero al Cantagiro, e un passo indietro in un altro tempo con Belle Epoque.

Ma in tutto il cd, al di sopra di ogni altra sensazione, ce n’è una che vale la pena sottolineare, quella che vorremmo presente in ogni nuovo lavoro discografico: l’urgenza di raccontare (e raccontarsi). E se Francesco ha avuto necessità di cercare, e trovare, queste nuove parole per parlarci di sé, del suo mondo (e del nostro), noi non dobbiamo far altro che aprire orecchie, e anima, e lasciarlo cantare. Lo diceva lui stesso qualche anno fa: “Menomale che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, sennò la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare” (La ragazza e la miniera). Ecco, dopo aver ascoltato tutto d’un fiato Sulla strada, ci viene da dire una volta ancora: “menomale”.

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