Il Paese delle meraviglie di Pao

Pao. Un’idea, una filosofia, un movimento, uno stile di vita, un mondo fantastico in cui si sogna e si vola, sembra il nome di un’isola o un luogo nei viaggi di Gulliver o del Piccolo Principe. Paolo Bordino, in arte “Pao”, è un giovane uomo sulla trentina, eterno bambino e adolescente, in senso buono, fonte di energia colorata e forza vitale. Dai disegni all’asilo ai disegni sui banchi al liceo, dalle scenografie teatrali all’arte di strada. Il cerchio si chiude. La pittura era nel suo destino. Fino al 1 dicembre è in mostra allo Spazio San Giorgio di Bologna una galleria “flessibile” che promuove arte contemporanea emergente, concentrandosi sui generi neo-pop, street art, grafica e illustrazione. Chi è di Milano conosce Pao molto bene: sono famosi i suoi paracarri di cemento-pinguini e i suoi pali della luce-margherite e altre creazioni vivaci e ironiche in giro per la città.

Dalla strada alla tela, lo spazio è importante. Che ruolo ha nei due contesti diversi?
Vivo la pittura a seconda dello spazio in cui lavoro. Nel contesto pubblico, cerco luoghi grigi da migliorare con il colore e la fantasia; la mia è un’arte fatta per la gente, dove provo a infondere positività con situazioni solari e divertenti. In studio, invece, esploro mondi interiori. Dovunque si esprima, la pittura per me rimane ricerca ed esplorazione.

Cosa ha imparato umanamente da Franca Rame e Dario Fo?
Conoscerli e lavorare assieme a loro è stata la migliore scuola d’arte che potessi frequentare. L’insegnamento più grande che mi hanno lasciato è stato che il talento da solo non basta, ma solo con tanto lavoro si ottengono dei risultati. Vedere loro che ancora adesso lavorano fino a tardi, nonostante i tanti successi, mi è stato di sprone per impegnarmi a fondo in quello che faccio, mantenendo l’umiltà e la consapevolezza che c’è sempre da imparare.

In quali città straniere del mondo in particolare vorrebbe portare la sua “firma” e perché?
In questo momento vorrei portare un sorriso a Gaza, anche se penso che abbiano bisogno di ben di più.

Sarebbe bello vedere le sue creature colorate sparse per il mondo. Ma se un giorno dovesse vedere una sua opera d’arte distrutta dalla guerra, oppure vittima del vandalismo, o eliminata da gruppi “anti-Pao” come i salafiti che vogliono distruggere le Piramidi e la Sfinge o come i talebani che hanno distrutto i Buddha, come si sentirebbe?
Le mie opere negli spazi pubblici a volte sono illegali, realizzate nottetempo per il piacere dei passanti. È capitato che venissero cancellate da amministrazioni locali troppo zelanti, o vandalizzate dagli spray di qualche ragazzino. Mi spiace ma sono opere “effimere”, non eterne, nulla a che vedere con piramidi o statue di Buddha. Guerre ed estremismi di ogni genere sono il grande male del genere umano, l’arte per me è una possibile risposta a queste follie.

Ho letto in una sua intervista che ha detto che “Ogni artista deve essere inserito nel proprio momento culturale”. Cosa vuol dire?
Ogni artista deve rispondere alle esigenze del proprio tempo; quando queste risposte sono universali allora è un grande artista. Bisogna confrontarsi con i problemi e le istanze culturali del momento, imparando dal passato, senza ancorarsi a esso.

Molti artisti, incompresi mentre erano in vita, sono stati apprezzati dopo, molto dopo la loro morte, e invece un artista dovrebbe vivere il suo contemporaneo facendosi apprezzare per le sue espressioni anche se anticipano i tempi…
Trovo l’idea dell’artista incompreso una sorta di mito, di luogo comune. È vero che gli artisti spesso vivono ai margini, proprio perché prediligono dar retta al proprio istinto piuttosto che ai dettami imposti da una società che non condividono. Io vivo l’arte come ricerca, seguendo l’istinto. Dipingere mi permette di esplorare e questo mi appassiona e mi riempie, dà senso alla mia vita. Dove questa strada porti non lo so, ma val la pena percorrerla.

Il suo percorso interiore qual è stato? A parte i mille lavori che ha fatto, lei come uomo e come artista che evoluzione o metamorfosi interiore ha avuto per arrivare a essere quello che è oggi?
Come accennavo, per me l’arte è anche un modo di esplorare il proprio mondo interiore. Dipingere è in fondo una sorta di meditazione, in cui la mente razionale viene per un po’ messa a tacere. La razionalità è un grande pregio del genere umano, ma a volte va a discapito del sentimento: si vede l’atomo, ma si perde la visione del Tutto. Fin da piccolo ho avuto una sorta di tensione verso il misticismo, ma le religioni non fanno per me, diciamo. Quindi l’arte è una risposta a questa mia esigenza.

Da padre, che futuro vede per i suoi figli? Che futuro vorrebbe dipingergli?
Vorrei dipingergli un mondo migliore, con meno disparità tra ricchi e poveri. Senza guerre. Invece non sarà un posto facile; i miei figli adesso hanno 2 e 4 anni e per ora mi piace coccolarli, ma cercherò di prepararli ad affrontare il mondo con coraggio, e correttezza.

Che animale è lei? Ha le ali? Ha il becco?
Sono una scimmia senza peli.

Essere “quotato” e far parte di “cataloghi” non la fa sentire un po’ imprigionato? Cioè, ha nostalgia delle sue “invasioni” stradali libere e sguinzagliate?
Sono fasi differenti, ma non mi sento imprigionato; certe dinamiche non mi piacciono, ma sono l’aspetto più “lavorativo” della faccenda, e l’affronto come tutti. Il periodo della spensieratezza è un momento meraviglioso, un po’ come sono sempre i vent’anni di tutti noi: lo ricordo con affetto, ma non lo rimpiango.

“Pao”… la chiamavano così da piccolo? Nella sua arte quanto c’è di Paolo bambino?
Nel 1999 andai per un anno a vivere a Londra. All’inizio lavoravo come inserviente all’ospedale dove mi prese in simpatia una collega più anziana, la classica “mama” africana, soprannominata per l’appunto “Auntie”, zietta. Fu lei a ribattezzarmi Pao. Un giorno mi abbracciò stringendomi al petto: “Pao, you are like my son” (Pao, sei come mio figlio), mi disse. E io pensai che Pao fosse il mio nome africano.

Il commento dei suoi genitori? Cosa le dicevano? Che doveva mettere la testa a posto? Che doveva fare un lavoro serio? O l’hanno pienamente appoggiato e lasciato libero? E che tipo di genitore è lei?
I miei genitori mi hanno sempre dato la libertà di scegliere, cercando di darmi gli strumenti culturali e umani per fare le scelte giuste, e io li ringrazio moltissimo per questo. Con i miei figli spero di essere altrettanto bravo.

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