‘Picu! Io sono l’eroe’: Arcangelo Iannace è un uomo in lotta con il nulla

L’invito allo spettacolo è originale quanto lo show stesso: una scatolina di medicinale (nella foto) con un bugiardino che indica le istruzioni per l’uso. Un uomo assurdo in lotta con sé stesso e con le sue paure. Bloccato, incastrato nelle sue fobie. L’uomo che, pur conoscendo i suoi polli, da loro si difende con tutte le sue armi, mentali. Un uomo in gabbia, nascosto dietro la porta che si affaccia sul pollaio starnazzante del mondo e poi la riapre sventrandola con il “raggio perforante” e la “lama rotante”, camuffandosi da supereroe anni ’80 con la forza della funky disco music, allucinogeno naturale. Così Arcangelo Iannace in un one-man show al Teatro Sala Uno di Roma con ‘Picu! Io sono l’eroe’ fino al 2 dicembre.

Gioco di luci e immagini proiettate eccezionali di Michele Bevilacqua. Regia dinamica di Francesco Spaziani che, assieme al protagonista in scena, fa parte dei tre componenti-autori della compagnia InEstremaRatio. Lo spettacolo racconta di un cambiamento o meglio del tentativo di farlo. Il protagonista è terrorizzato da dubbi, debolezze, insicurezze, inadeguatezze, incertezze; incapace di andare oltre la camera da letto, appiattito da una routine asfissiante. Usa tutta la sua energia per trasformarsi in un super-eroe, ‘Picu’, dietro al quale si nasconde e nel quale si rifugia. Costruisce, nella sua testa, un’astronave per trasportarsi in un’altra vita.

Un essere disorientato, fragile, disadattato, contrario a un mondo superficiale che pensa solo a vendere e che pretende sempre di più uomini vincenti e sicuri di sé. Tira chicchi di mais, come fossero proiettili, alle sue galline ingorde, schifato dal loro triste e unico obiettivo: quello di mangiare e vivere tra “grondaia e tetto, tetto e grondaia, grondaia e tetto…”. Metaforico, in realtà, parla di uno stile di vita “mangiare-lavorare-dormire-casa-bottega-e-chiesa”. Sono forti e intensi i primi dieci minuti. I più simbolici. Accerchiato da voliere vuote e uccelli che svolazzano e mangiano ingozzandosi di avidità, lui è seduto su una poltrona a comandi elettrici. L’ombra lo fissa mentre l’uomo è in battaglia e vicino alla morte. Il lamento della sofferenza lo porta a diventare elettrico come la sua poltrona e prega con le mani automatizzate mentre invoca: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano e dacci anche una mano! Ave Maria, dacci una mano. Dio è con te? E allora dateci una mano”. Ce l’ha con Dio, pigro, e lo invita a parlare con Buddha, a mettersi d’accordo tra di loro, per dare una mano all’umanità, mentre chiede di ricevere “segnali più chiari”.

Cala la maschera e si convince di essere invincibile, pur sapendo di non esserlo. Si prepara per il decollo, attiva gli arti inferiori e li sincronizza con il bacino. È in atto la trasformazione. “Io sono colui che chiude il cerchio e torna vincitore… perché resisto!”, dice. E recita una specie di mantra, mentre viene mitragliato da luci stroboscopiche. Attiva l’Alfa. È codice rosso. E parte verso un’altra dimensione. Attacca i suoi fantasmi in una folle lotta con il nulla. Bombarda. Distrugge. L’attacco finale è potente, grazie al “raggio gamma” che lancia, reagendo alle accuse di essere “immaturo”. Sfinito, a terra distrutto e fallito, lascia però alle spalle ipocrisia e astuzia. Diventa pazzo e poeta. Entra “nel mezzo del fuoco” e brucia con i suoi pensieri al ritmo del dolore. La pièce è divertente, fa ridere, arriva e penetra facendo anche un po’ paura. Ma perché “Picu”? Cosa vuol dire? Un nomignolo dato al protagonista quando era bambino? Una fusione della parola onomatopeica “Pic”, per puntura, e “Piu”, il verso di un pulcino? Oppure l’acronimo di “Pediatric Intensive Care Unit”? La nostra fantasia ha galoppato finché la curiosità è stata soddisfatta: “Picu”, in forma dialettale, è il richiamo pronunciato in alcune zone d’Italia quando si lancia il mangime al pollame.

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