Il Cile, con ‘Siamo morti a vent’anni’ rinasce la musica d’autore

Che il mondo televisivo, e più in generale mediatico, negli ultimi tempi ci abbia abituato a considerare la musica come frutto di svariati talent show, sfornando cantanti e canzoni di discutibile livello artistico, è cosa nota. Ma fortunatamente ci sono le eccezioni. Una di queste è sicuramente rappresentata dal cantautore Lorenzo Cilembrini, in arte Il Cile, che ha saputo imporsi, prima con la sua hit ‘Cemento armato’ e poi con il secondo singolo ‘Il mio incantesimo’, conquistando critica e pubblico. Il 28 agosto è uscito il suo primo album ‘Siamo morti a vent’anni’ (Universal) che ha subito raggiunto la quinta posizione della classifica ufficiale di vendita Fimi-GfK.

Se ‘Cemento armato’ esprime la rabbia per la precarietà della vita che dilaga in tutti i campi della società e ‘Il mio incantesimo’ della rinascita delle speranze dopo un momento buio, diversamente il terzo singolo, ‘Siamo morti a vent’anni’ (piccolo gioiello), descrive la fine di una storia d’amore in cui è impossibile non immedesimarsi (“E siamo morti a vent’anni benedicendo di speranza troppe frasi rimaste sul guanciale”). Originale, sia testualmente che musicalmente, la canzone si chiude con l’augurio di trovare un nuovo amore. E per un amore che finisce, un altro fugge. E’ quello che si scorge in ‘Tu che avrai di più’, che descrive l’abbandono di una donna, scandito dal passare dei mesi. ‘La ragazza dell’inferno accanto’, come si evince dal titolo, è una dichiarazione scanzonata con un ritornello musicalmente martellante in grado di stregare il mondo radiofonico (“Accetto tutto dalla vita eccetto che tu sia un’amica preferisco perderti/ Tu sei l’antidoto che mi salva/ Tu sei la strega e la sirena”). Si prosegue con ‘Tamigi’, il brano sicuramente più coinvolgente ed emozionante dell’album, che racconta la distanza di un amore e della semplicità dei gesti quotidiani a cui si va incontro prima della partenza, e quindi prima dell’addio.

Il disco si chiude con ‘La lametta’, altro brano candidato a futuro tormentone, in cui viene citato, stravolgendolo, un Gianni Morandi d’annata (“Fatti mandare dalla mamma a sedare la mia ansia”), e dove ancora, quasi profetico, Il Cile canta “Io sono la lametta che apre in due la canzone tutta italiana”. E quando si finisce l’ascolto del disco, non si può che concordare con questa sua affermazione. Le sue canzoni sono dannatamente vere, vissute, e si vestono ora di raffinata eleganza compositiva, ora di puro ed energico rock. Che la bravura de Il Cile possa, non solo dargli il riconoscimento che si merita, ma anche dare l’avvio a una nuova leva di cantautori che, forse ingiustamente, è stata per troppo tempo messa da parte.

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