Luca Barbareschi racconta ‘Il discorso del Re’

Un grande interprete del teatro italiano, Luca Barbareschi, sta girando l’Italia con uno dei lavori più attesi della stagione: ‘Il discorso del Re‘. La pièce, che ha debuttato con successo al Teatro Quirino di Roma, vanta la regia dello stesso Barbareschi. Una commedia umana, sempre in perfetto equilibrio tra toni drammatici e leggerezza, ricca di ironia ma soffusa di malinconia, a tratti molto commovente, ma capace anche di far ridere. Sul palcoscenico Barbareschi è il logoterapista Lionel Logue e, al suo fianco, un bravissimo Filippo Dini veste i panni di Bertie – Duca di York. Insieme a loro Astrid Meloni (Elizabeth – Duchessa di York), Chiara Claudi, Roberto Mantovani, Ruggero Cara, Mauro Santopietro e Giancarlo Previati.

“Dopo aver portato in scena ‘Il Gattopardo’ – spiega Barbareschi – ho sentito il bisogno di approfondire la capacità del teatro nell’interpretare e rappresentare la società, soprattutto in relazione alla descrizione e interpretazione che la drammaturgia riesce a dare del presente e della storia, come forma conoscitiva superiore alle altre, per dirla con Harold Bloom “un teatro-mondo”. Ha ispirato la mia riflessione un ritorno a Shakespeare, a quel 1603 che segna una svolta storica per il teatro inglese; salito al trono, Giacomo I promuove un nuovo impulso delle arti sceniche, avocando a sé la migliore compagnia dell’epoca. A Giacomo I, Shakespeare dedica alcune delle sue opere maggiori, scritte per l’ascesa al trono del sovrano scozzese, come Otello, Re Lear e Macbeth, la più breve e più compressa delle tragedie di Shakespeare”.

A differenza dell’introverso Amleto, il cui errore fatale è l’esitazione, “gli eroi di queste tragedie – dice ancora Barbareschi – come Otello e Re Lear furono sconfitti da affrettati errori di giudizio: le trame di queste opere fanno spesso perno su errori fatali, che sovvertono l’ordine e distruggono l’eroe e i suoi cari. Le tre ultime tragedie, che risentono della lezione di Amleto, sono drammi che restano aperti, senza ristabilire un ordine ma generando piuttosto ulteriori interrogativi. Ciò che conta non è l’esito finale, ma l’esperienza. Ciò a cui si dà maggiore importanza è l’esperienza catartica dell’azione scenica, piuttosto che la sua conclusione. Il salto al secolo scorso e alla nostra storia recente è possibile grazie all’opera di David Seidler. ‘Il discorso del re’ per me si inserisce in questo filone dove il teatro resta soprattutto un inno alla voce e all’importanza delle parole”.

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