Raige, l’altra faccia del rap

Che il rap sia un genere che negli ultimi mesi sta riscuotendo un grande successo in Italia è evidente: si pensi alla notorietà che hanno acquisito i Club Dogo, Fabri Fibra e Marracash o alle numerosissime collaborazioni che hanno visto lavorare insieme cantanti della scena musicale pop con esponenti dell’hip hop (l’ultimo album di Max Pezzali o il featuring dei Club Dogo in ‘Testa o cuore’ di Eros Ramazzotti ne sono chiari esempi). Immediatamente dietro quelli che potremmo definire “i famosissimi”, ci sono però tanti altri ottimi artisti che probabilmente in poco tempo riusciranno a farsi conoscere anche da un pubblico di massa e, ci piace sottolinearlo, smentiscono il pregiudizio, abbastanza diffuso, secondo il quale per fare del buon rap, o meglio, per avere successo, bisogna esclusivamente seguire il tema “sesso-droga-soldi”. Tra questi c’è sicuramente Alex Vella, in arte Raige. Torinese, classe 1983, Raige è nel mondo della musica rap già da diversi anni, con tanti buoni lavori da solista (l’ultimo dei quali, ‘Addio’, è uscito quest’anno) ma soprattutto con una bella carriera alle spalle con il gruppo degli One Mic, un trio formato insieme al fratello Iari (in arte Ensi) e all’amico Rayden. Noi di NewsMag abbiamo intervistato in esclusiva Raige, con il quale abbiamo parlato del momento che l’hip hop vive nel nostro Paese e, naturalmente, dei suoi progetti lavorativi.

Alex, partiamo subito con una curiosità. Come mai hai scelto Raige come nome d’arte all’inizio della tua carriera?
Il significato del termine ‘rage’ in inglese è quello di ‘furia’, ‘ira’, quindi ci stava bene in un ambiente come quello agguerrito del rap quando ho iniziato, alla fine degli anni ’90. La ‘i’ nel mezzo l’ho messa solo perché odio le parole di quattro lettere!

Quando si parla di te, è inevitabile menzionare anche gli One Mic. Quanto sono stati importanti per la tua carriera e per la tua vita?
In entrambi i casi in egual misura. Alla base di quelli che sono gli One Mic c’è una sana competizione, perché noi nasciamo come un gruppo di freestyler e quindi questa componente è stata utile per la mia crescita artistica. A livello umano, avendo condiviso con loro tantissime cose in questi anni, è normale che abbiano avuto un peso importante nella mia vita.

Il 12 dicembre scorso, all’Alcatraz di Milano, si sono tenuti gli ‘Mtv Hip Hop Awards’ (ne abbiamo parlato in questo articolo). Non sono mancate, però, critiche all’evento. Tu cosa ne pensi?
Credo che le polemiche stiano alla base del rap. In realtà, non c’è una formula che faccia tutti contenti. L’hip hop, in questi ultimi due anni, sta vivendo una sorta di nuova “golden age” in Italia e quindi bisogna essere in grado di trovare del buono anche nelle cose che non vanno troppo bene. Sarebbe da stupidi negare che nella trasmissione dell’altra sera ci fossero dei problemi. A mio modestissimo parere penso che la scena rap italiana forse non è ancora matura, parlo ovviamente della sua totalità e non dei singoli artisti, al punto tale da sostenere un evento come quello che MTV voleva proporre. Poi, ci sono stati degli interventi che col rap avevano poco a che fare e che probabilmente non hanno fatto altro che alimentare dei dubbi, che magari i più “tradizionalisti” conservano e ai quali, sotto certi punti di vista, mi sento di dar ragione. In sostanza possiamo dire che è stata una bella esperienza per il rap italiano, perché ci ha comunque messo in luce e ha messo davanti al fatto compiuto tutta la discografia, dimostrando che questo è un genere credibile. Basti pensare che quest’anno, se non erro, ci sono stati quattro dischi d’oro di rap. Non siamo più a dieci anni fa, quando eravamo solo gli “scemi” con i vestiti larghi ed il cappello al contrario.

Tu in ogni caso eri presente all’Alcatraz per assistere all’evento. Come hai vissuto questa esperienza?
La serata l’ho vissuta benissimo, anche perché c’erano le parole ‘Open’ e ‘Bar’ messe insieme (ride, ndr). A parte questo, io vengo da una realtà un tantino più provinciale, che è sicuramente un po’ meno modaiola rispetto a quella di Milano. Torino è una piazza importante per la musica alternativa, ha comunque partorito gruppi importanti, come i Subsonica, ma sicuramente è più “hardcore”. Intorno a Milano, invece, ruotano tutti questi discorsi sullo stile, molto adatti allo show business, ma che allo stesso tempo non mi appartengono molto: infatti, non sono uno di quei rapper che scalpitano per finire in certe situazioni, sono più il tipo che preferisce far parlare la propria musica.

Come hai giustamente detto, il rap italiano vive un momento particolarmente positivo in cui il grande pubblico sembra essersi finalmente accorto di quanto di buono ci sia anche in Italia per questo genere. A cosa credi che sia dovuto questo boom?
È dovuto al fatto che il rap è il genere numero uno per diffusione tra i giovani e questo perché parla con coscienza e conoscenza delle cose. Io sono un po’ fatalista perciò credo che il successo del rap sia dovuto in parte anche alla morte di altri generi: ad esempio, il rock italiano ha perso il suo smalto in questi anni; il cantautorato è pressoché morto (salvando giusto qualche caso) e il rap si è fatto portavoce di problematiche sociali e non. Spesso poi ci si sofferma solo su problematiche giovanili perché la fascia d’età su cui si muove il rap è quella, quindi si scelgono temi che siano più vicini e che abbiano “appeal” tra gli adolescenti: credo che anche in questo senso il rap abbia compensato delle mancanze di altri generi. Il rap, comunque, ha sempre raccontato la strada, non per forza in senso negativo ovviamente, e quindi è più facile che soprattutto i ragazzi si identifichino in ciò che dice un cantante rap piuttosto che il solito cantante che esce da un reality e non ha le credenziali per poter scrivere di certi argomenti.

Ormai si può dire che anche tu fai parte dell’Olimpo dei rapper italiani. Che consigli daresti a chi vuole intraprendere questa strada?
L’Olimpo è esagerato (ride, ndr), nonostante quest’anno sia riuscito a raggiungere numeri importanti: penso al milione di visualizzazioni su youtube, ma queste sono cose che interessano più la mia etichetta. Quello che a me, invece, fa piacere notare è che vedo più gente ai live o, che so, più gente che mi segue sui social network e poi, dal vivo, mi dimostra il proprio affetto e stima. Detto questo, se devo dare un consiglio a qualcuno che inizia è che va bene affacciarsi a questo genere ascoltando un gruppo o un artista e magari emulandoli sia nello stile sia nelle cose che poi si dicono, ma è importante che nel tempo uno sia in grado di crearsi un proprio background, e cercare di portare delle innovazioni e formarsi una propria coscienza artistica. Essere quindi in grado di dire: “Ok, la qualità delle mie rime è ottima, però sto rappando come Salmo o come Marra” (giusto per fare un esempio), e di conseguenza fermarsi un attimo per cercare di capire come crearsi una propria dimensione personale, cosa che reputo fondamentale per poter ottenere dei buoni risultati.

Il 2012 è stato l’anno di ‘Addio’, il tuo ultimo album da solista. C’è un pezzo a cui sei particolarmente legato?
Sono legato a tutto l’album, che per me è molto importante come si può capire dal titolo stesso. ‘Addio’ rappresenta un taglio netto con tutte le cose che nel passato mi avevano condizionato troppo e non mi avevano dato la possibilità di vivere il presente come avrei voluto e come avrei dovuto. I due pezzi che mi hanno dato di più a livello mediatico sono la titletrack ‘Addio’ e ‘Mille volte ancora’, ma, se proprio devo dare una preferenza personale, mi viene da dire ‘Cent’anni di solitudine’, perché racconta la mia storia, lo sento più mio e perché ha il titolo di uno dei miei libri preferiti.

Con chi ti piacerebbe collaborare per dei progetti futuri?
Guarda, io ho il pallino di Fabri Fibra, perché è sempre stato uno dei miei rapper preferiti. Però potrei veramente citare un sacco di colleghi, anche cantanti pop. Non mi sento di restringere il campo, anche perché, chissà, magari alcuni di questi li contatto veramente per il prossimo disco (ride, ndr)!

Quali sono i progetti e le speranze di Raige per il 2013?
I progetti non posso svelarli perché abbiamo delle idee in testa ma dobbiamo prima capire cosa sia realmente fattibile e cosa non lo è. Per quanto riguarda le speranze, sicuramente di riuscire a fare bella musica, di far star bene tanta gente ma, perdonatemi l’egoismo, di star bene io soprattutto con la mia musica.

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