Alicia Alonso, Carla Fracci e il loro “canto dei piedi”

91 anni il prossimo 21 dicembre, parzialmente cieca dall’età di 19 anni. Sarà la magia dei numeri, forse, che la rende più carica di entusiasmo dei ragazzi venuti a omaggiarla a un incontro all’Università Roma Tre in un’aula magna stracolma. È la leggendaria Alicia Alonso, premiata per la carriera in una serata di danza al Teatro Nazionale di Roma nell’11esima edizione del Premio Roma 2012 Jia Ruskaja, organizzata da Daniele Cipriani. Ai suoi piedi si inchina un’altra diva della danza classica, Carla Fracci (nella foto), 76 anni, una ragazzina agile di corpo e di mente, che ha parlato di “ballet” e di come sia “un’arte”.

Ballare bene è difficile. Infatti, le danzatrici di spicco sono pochissime.
“La danza non è solo tecnica, ma etica, come una religione. La vera danza è un credo, un’attitudine”, dicono in coro nell’aula magna di Lettere e Filosofia. Applausi e tifo da stadio dopo la visione di due video che mostrano le due ballerine in alcune delle loro performance. “Mi sono commossa nel vedere Alicia danzare. È stata la più grande, arrivando a tutti con un’arte spirituale, moderna e sensuale. Elegante, sollevata da terra”, dice Carla Fracci. “Mi ha colpito la sua sensualità sottile, il suo equilibrio, senza mai andare oltre. Questo è quello che dovete imparare”, spiega Fracci agli studenti, tra cui allievi ballerini dell’American Ballet Theater di New York e danzatori della compagnia nazionale di danza cubana, il Ballet National de Cuba, fondata da Alicia Alonso. Una compagnia nazionale che manca in Italia, nonostante Carla Fracci abbia faticato per anni e tentato di realizzare il progetto, ma “manca l’intenzione”, spiega.

Si lotta per portare avanti le proprie passioni. Cosa deve avere un ballerino per essere bravo?
Non andare mai oltre e quando si va oltre si deve tornare in se stessi. Bisogna coinvolgere il pubblico, dare e ricevere dal partner di scena, trasmettere emozioni e interpretazione. Non ci sono solo le gambe e i piedi. La danza non è meccanica, ogni volta arrivano sensazioni diverse. Lo stile e il dettaglio sono importanti. Ora si va di troppo di fretta e si perdono le cose fondamentali. Non esiste la bacchetta magica. Bisogna impegnarsi, applicarsi e trasformare lo studio con la propria personalità.

Lei è considerata un mito.
Mi è difficile vedermi così. Io sono un insegnante che può aiutare i giovani. E dopo tanti anni di lavoro, e non di “mito”, non sono ancora riuscita a creare una compagnia nazionale.

Ma ha fatto tanto. Ha danzato facendo coppia anche con Bruhn e Nureyev.
Con Erik è stato un incontro magico, ci siamo capiti subito, e senza metterci d’accordo prima entravamo in scena ed era tutto immediato, sin dall’inizio. Mentre con Rudolph è stato un impatto più aggressivo, più animale, che poi in fondo era nobile, ma si proponeva diversamente. Entrambe persone pulite, rispettose, sincere, leali verso il proprio lavoro. Il nostro mestiere è una scelta, non un obbligo, e quindi si deve fare con serietà.

Ad Alicia Alonso viene chiesto dalla platea di giovani com’è stata la sua prima volta a New York. “La primissima volta che andai ero giovanissima, ero con i miei genitori. Poi, la seconda volta andai da sola e non facevo altro che prendere lezioni, dalla mattina alla sera, anche con il maestro italiano Enrico Sanfredi. Ho imparato allora quanto potessero muoversi velocemente le gambe. Non c’era ancora una compagnia di danza negli Stati Uniti. Era difficile danzare in Usa dove c’era solo lo “show business” e una danza divertente stile cowboy, e allora andammo in tournée in giro per il Sudamerica a proporre la danza classica, che ora non è una danza antica ma la base di ogni danza. A New York non facevo che studiare e fare piccole pause per il tè o per il pranzo, assieme a una mia compagna di classe. Sdraiate sull’erba a Central Park, tiravamo su le gambe, per aria, come fanno le giovani ballerine. Ci divertivamo”, racconta Alonso. “E mi emozionai quando indossai il mio primo tutù, mi sentivo felice come una bambina”.

Lei ha girato il mondo promuovendo la danza classica.
“Viaggiavamo in auto, in treno, in pullman, anche in luoghi pericolosi, dove si sparava, ma noi non ci siamo fermati”, continua Alonso mentre sorride e picchietta le unghie lunghe laccate sul tavolo. “Per realizzare il nostro sogno abbiamo lavorato duramente per farlo apparire però facile. All’inizio era una novità, e ci chiedevano come facevamo a restare sulle punte”.

Carla Fracci interviene e spiega ai ragazzi il duro lavoro, la fatica che ha portato Alicia Alonso a essere quella che è. “Si viaggiava per ore, anche per giorni, e a volte si scendeva dal pullman e si andava direttamente in scena. Ora è diverso. Le questioni sindacali impongono delle pause. Spesso ho ballato in posti dove non c’erano neanche i camerini. Ci cambiavamo in bagno e si correva a lezione perché l’importante era la maestra e non il luogo, e neanche chi frequentasse la lezioni. C’erano anche dei dilettanti tra noi, ma non avevamo la ‘puzza sotto il naso’. Lavoravamo con dei disagi, compresa la paura di dover prendere la metro a New York e stare attenti per evitare di finire in zone malfamate. Oggi, meno male, è diverso, anche se a volte ci sono delle esigenze che non comprendo, delle richieste che forse sono rigide, senza margine di elasticità”, dice Fracci. “Questo per dire che non abbiamo vissuto nell’ovatta, ma abbiamo lavorato”.

Alla performance al Teatro Nazionale hanno danzato ballerini della Escuela National de Ballet de Cuba e della Jacqueline Kennedy Onassis School at American Ballet Theater. Da ‘Giselle’ al ‘Lago dei Cigni’, da ‘La Plus Que Lente’ a ‘Jerusalem Divertissement’, tutti eccellenti, ma spicca sempre qualcuno agli occhi di chi guarda e si emoziona: la figlia d’arte 16enne Catherine Hurlin in una strabiliante ‘Tarantella’ di George Balachine. Andrà molto lontano.

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