‘Contatti’ di Leonardo Jattarelli: una pièce intensa che ti resta dentro

Pesante, difficile, impegnativo e angosciante come può esserlo la vita per persone tormentate e cervellotiche. Dark come una mente introspettiva che proietta rompicapo e matasse di pensieri che non si sbrogliano mai. ‘Contatti’, in scena al teatro Lo Spazio di Roma, scritto e diretto dal giornalista e critico cinematografico del quotidiano Il Messaggero Leonardo Jattarelli, è un pensiero onirico da incubo, un trip, che si mischia e si confonde con la realtà. Struggente e drammatico, e come il testo anche la recitazione sprofonda come il piombo e arriva come un pugno. Una pièce che urla dolore e cerca comprensione, cerca una mano per farsi salvare dai “vuoti incolmabili”, dalle illusioni. Una serie di emozioni, riflessioni, considerazioni poetiche, analisi profonde, molto autobiografico, anzi, un parto di sé stesso.

E mentre sembra di essere al Café de Flore a Parigi o ancora meglio a Les Deux Magots, seduti accanto a Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus, vediamo sul palco pellicole che scorrono come illusioni, incluso il musical ‘All That Jazz’ e qualche ritratto della solitudine di Edward Hopper, e frasi a effetto di un pensatore intellettuale che “vomita sofferenza” e (soprav)vive in un società moderna che comunica attraverso sms, anime in pena “là fuori dove c’è la guerra” dove “ognuno è attento al proprio culo”. Siamo in un appartamento che affaccia su una città che va sempre di fretta. È l’abitazione di un celebre fotografo, affaticato dalla vita e sfatto dalle proprie emozioni, irrisolto. Debutto ottimo per Jattarelli alla regia, lenta solo all’inizio e con alcuni passaggi incerti e qualche tempo vuoto e soporifero, ma forse anche questo fa parte del calvario da provare per arrivare al cuore dell’autore.

Il testo è intenso, impenna verso la metà, entra nelle pance come un libro di poesia contorta. È una serie di aforismi e riflessioni messe in scena. Colpiscono alcune frasi: “Amo la puntualità dell’emozione”, “L’emozione ha le sue regole”, “Ci vuole coraggio a spogliarsi e mostrarsi”, che la gente comune sia come gli “emigranti alla ricerca di nuovi mondi”. Molto noir, fumoso e alcolico, una colonna sonora elegante, tutta jazzy e ‘blue’, malinconica e triste, troppo protagonista: il volume spesso è alto e distrae dalle parole, affastellate. Complimenti ai giovani e bravi attori per la memoria poiché una trama non c’è, ma monologhi in assolo, anche quando sono dialoghi. Tante verità vintage, démodé e attuali. Toccando il tema della ricerca del lavoro, dice: “Oggi cercano quelli che costano poco e che chiedono ancora meno”. Una dura e triste realtà.

L’uomo, fulcro centrale della pièce, ama le donne, le fotografa, scava nella loro essenza facendole “spogliare di sé stesse” e mostra i loro cuori attraverso le immagini della pellicola. E lui diventa il loro confessore. C’è tanta filosofia contemporanea che ci porta tra Pigalle e Marais, in un’atmosfera porno-retrò-decò, “giocando a nascondino con i pensieri”, come “schegge di nuvole passeggere”, vittime di un sesso malamente sessuale, carnale, dove si sente “l’odore del disfacimento”. Toccante quella che ci sembra una dedica alla sorella dell’autore, morta improvvisamente qualche anno fa, che in scena appare solo con la voce in forma di fantasma e parla d’amore con il suo ex compagno fotografo, attraverso il quale continua a vivere, con gioia, molto meglio di lui, disperato e lacerato dalla perdita. Gran finale in omaggio alle bugie, a certe “verità che sono delle bugie”, alla “società di bugiardi”, agli “innamorati spenti”, “delusi e violentati”. ‘Contatti’ è difficile da capire lì per lì, al volo; non c’è tempo per elaborare in un’ora e mezza, ma poi resta dentro, lentamente si gonfia e rimbomba nella testa per giorni, e fa riflettere, forse per tutta la vita.

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