Ambrogio Sparagna: “Io, De Gregori e la musica popolare”

Ambrogio Sparagna è una delle figure più rilevanti per quanto riguarda il recupero della musica popolare in Italia. Nella sua attività si affiancano la produzione di saggi, l’impegno didattico e le esibizioni in concerto sia in Italia che all’estero come virtuoso dell’organetto, come promotore di progetti con musicisti importanti – Francesco De Gregori, Teresa De Sio, Angelo Branduardi e Giovanni Lindo Ferretti tra gli altri – e come direttore dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Lo abbiamo incontrato.

Dal 2007 lei è a capo dell’Orchestra Popolare Italiana, e quest’anno, in molte date, si è unito anche Francesco De Gregori. È da tempo che voi due suonate insieme…
Sì, con lui siamo amici da tanti anni e abbiamo fatto molta musica insieme. Lo scorso anno abbiamo pensato di proporre un concerto nuovo, con le sue canzoni insieme a quelle popolari. Lo spettacolo si chiama ‘Vola Vola Vola’, un omaggio all’Abruzzo: Francesco, come si sa, ha vissuto anche a Pescara, dove ha lasciato il cuore. Dentro ci sono canti popolari, tra cui ‘Stelutis Alpinis’ che è l’altra anima di De Gregori, quella cioè friulana legata al padre. Poi i suoi brani sono stati arrangiati in maniera completamente diversa dagli originali. Ne è uscito fuori un progetto importante in cui lui si è trovato a fare il cantante popolare e io quello d’autore. Sta riscuotendo molto successo: è stata un’estate piena di spettatori, con tante date e festival.

Nel 1995 lei ha composto ‘La Via dei Romei’, opera che aveva per protagonista proprio De Gregori nel ruolo di cantastorie.
Per rompere gli schemi gli chiesi di fare il cantastorie. Fu un esperimento: uscì un disco pubblicato per la Rca che fu tra i primi a essere circuitato nelle edicole, raggiungendo circa 30.000 copie vendute, che per un album di musica popolare è un risultato strepitoso. Poi io ho partecipato a molti suoi concerti in giro per l’Italia, e lui è stato anche con me alla Notte della Taranta nel 2005.

A proposito della Notte della Taranta, lei dal 2004 al 2006 è stato maestro concertatore. Cosa ricorda di quella esperienza?
Con me quel festival prese una conformazione particolare perché divenne il più grande della musica popolare italiana. Io ci misi dentro non solo la pizzica, ma tutta la tradizione del canto popolare, partendo dal presupposto che il Salento non è un qualcosa di isolato, ma è parte della cultura intera dell’Italia. Fu un grande evento, che ha segnato in maniera indelebile la trasformazione della mia musica. Se oggi io riesco a fare progetti, come l’Orchestra, che ci vedono protagonisti anche all’estero probabilmente lo devo anche a quell’esperienza.

Un’altra sua prolifica collaborazione è quella con Giovanni Lindo Ferretti: ricordiamo ‘Attaranta Tradizione/Tradimento’ nel 2002 e l’oratorio sacro ‘Litania’ nel 2003…
Abbiamo avuto anche un’altra collaborazione che poi abbiamo chiuso: si chiamava ‘Falce e Martello’. È stata una trilogia. Siamo partiti raccontando il rapporto con la tradizione come un passaggio di necessità (questo significava ‘Attaranta Tradizione/Tradimento’). Poi abbiamo fatto un lavoro singolare come ‘Litania’: io ho riscritto un oratorio di musica sacra raccontando la devozione popolare, come questa ha unito il nostro Paese dal nord al sud. Infine ‘Falce e Martello’, che aveva come sottotitolo ‘Falcellati e Martellati’: era un po’ un requiem della civiltà contadina che è finita, che noi cantiamo e abbiamo nel cuore con la necessità di trasmettere come valore e vita contemporanea. Aver citato, nel mio spettacolo estivo, personaggi come Rocco Scotellaro serve proprio a considerare questa musica come un qualcosa che ci appartiene profondamente nella contemporaneità. Non è soltanto uno studio o un legame con il passato.

Come nasce la sua passione per uno strumento così particolare come il ‘Du Botte’?
È nata negli anni ’70, quando c’era un grande interesse per il folklore, però molto mutuato anche da quelle che erano le aspettative del movimento giovanile, quindi c’era propensione alla ricerca della cultura popolare. Nel mio caso tutto è iniziato non dico casualmente, ma comunque, vivendo in un piccolo paese dove questo strumento era il principe della musica popolare, non ho potuto fare altro che suonarlo. All’epoca era quasi in via d’estinzione, mentre adesso c’è un rinnovato interesse: vi è stata una grandissima riscoperta di questa musica, e in tutta Italia c’è ora un vero e proprio risorgimento musicale che ha origine con la pratica di questo strumento.

Abbiamo sentito l’OPI iniziare i concerti chiedendo ‘permesso’. Per quale motivo?
E un’usanza che ho imparato in Abruzzo. I cantori iniziavano a cantare nelle feste chiedendo il permesso: era una sorta di richiesta di ascolto, perché il dono più importante per chi suona è quello di essere ascoltato. Nella musica popolare il rapporto è capovolto, non è come in quella colta in cui si ragiona pensando: “Io sono l’artista e ti sto dando questa possibilità”. No, in questo caso “Io sono il popolo che ti ascolta, fammi vedere di cosa sei capace”.

Mi dispiace, i commenti per questo articolo sono chiusi