Eva Poles: “Vi presento la mia ‘Duramadre'”

‘Duramadre’ è l’album d’esordio come solista di Eva Poles, dopo un passato da protagonista dietro il microfono dei Prozac+ e dopo aver intrapreso esperienze importanti, come quella nel progetto Rezophonic. Si tratta di un lavoro nel quale Eva ha riversato tutta se stessa, esprimendosi in piena libertà di intenti e curandone i minimi particolari: dalla scelta del titolo alla realizzazione dell’artwork di copertina. L’abbiamo contattata a pochi giorni dall’inizio del tour promozionale. Ci ha risposto mentre era in autostrada, idealmente in viaggio verso questa nuova intrigante avventura.

Dai Prozac+ all’album solista ‘Duramadre’. Cos’è cambiato nel tuo modo di approcciarti alla musica?
Sono passata attraverso situazioni completamente diverse. Lavorare in un gruppo e lavorare da sola sono due esperienze difficilmente paragonabili. Ora sto vivendo degli aspetti positivi e altri meno; quelli positivi sono legati al fatto di potersi esprimere completamente e liberamente. Come artista singola – anche se poi sola non si è mai – ti esponi in maniera più diretta: bisogna avere le spalle larghe per sostenere gli eventuali insuccessi. Quando si è in un gruppo, invece, c’è un supporto maggiore, che si avverte soprattutto nei momenti negativi.

In questo lavoro c’è un aspetto di te che non avresti mai potuto portare alla luce nei Prozac+?
Sicuramente sì, ma non perché da parte del gruppo ci fosse qualche intento per non farmelo esprimere. Il motivo era la natura stessa del progetto: nel gruppo facevamo un genere musicale ben definito, che non permetteva troppe varianti, mentre nel percorso solista ho più libertà di espressione.

Quanto coraggio c’è nel proporsi con il proprio nome dopo un cammino così importante?
Tanto. Perché – ma del resto si intuisce facilmente – dopo un passato trascorso come cantante di un gruppo molto conosciuto è naturale che ci sia un po’ di paura nel proporsi in veste solista. Ho gli occhi puntati addosso; è normale che da parte del pubblico ci sia la tendenza a mettere a confronto quello che fai con quello che è stato il passato. Ho una storia, quindi i confronti ci sono. Sono molto soddisfatta, però, perché, viste le critiche positive che sto ricevendo, penso di essere riuscita a superare i primi ostacoli.

Quanto è stato importante Max Zanotti per aiutarti a superare questa paura?
Molto. Non solo lui, ma anche le persone che hanno collaborato con me. Non era semplice vedere con obiettività il valore delle cose che stavo facendo nei provini. Sono la peggiore nemica di me stessa, quindi non era facile capire se stavo facendo la cosa giusta. In questo senso Max mi ha saputo consigliare positivamente e dare l’energia e la sicurezza giusta riguardo a quello che stavo realizzando.

Qual è il significato che dai alla parola ‘Duramadre’?
È un titolo che ho sognato. Era tantissimo tempo che cercavo qualcosa di adatto, ma non trovavo niente che fosse all’altezza della profondità e della ricerca che c’è nell’album. ‘Duramadre’ ha per me un insieme di significati. L’ho scritta tutta attaccata proprio per distanziarmi dal termine medico (la ‘dura madre’ è la parte più esterna e più spessa delle meningi, ndr). È una parola ideale per rappresentare la protezione del nostro io, della nostra personalità. Allo stesso tempo fa riferimento a una madre severa, quindi come la vita, che spesso è una madre che ci pone di fronte a delle prove dure, impegnative, ma che una volta superate servono a migliorarci. Il mio disco parla della vita, della crescita, dell’evoluzione, e quindi è un termine perfetto per il senso dei miei brani.

Quanto ti è stata utile l’esperienza nel progetto Rezophonic per scrivere i brani del disco?
Moltissimo. È un’esperienza che mi ha formato sia a livello umano che artistico. A livello umano c’è stata una grande crescita, per il sentirmi vicina a più persone, mentre a livello artistico credo che il fatto di collaborare con molti artisti mi abbia insegnato diverse cose. Lo scambio di opinioni è fondamentale, vedere come gli altri si muovono diventa un’opportunità molto importante.

Quest’album è partito dalla nuova versione di ‘Regina Veleno’?
No, non si è partiti con l’idea di fare un album. Tutto è nato dall’esigenza di comporre e solo dopo le persone che mi sono vicine mi hanno fatto pensare all’idea di fare un disco.

Hai realizzato anche la copertina del cd. Sei interessata al mondo dell’immagine e della fotografia?
Sì, moltissimo. All’inizio fare la copertina è stata una necessità, per una questione organizzativa e di tempi realizzativi. Inizialmente ho maledetto questa decisione, che mi ha impegnato tanto, ma poi il risultato mi ha soddisfatto in pieno. E questa non è per me una condizione semplice da raggiungere, perché sono una persona che non si accontenta e che ama fare le cose in maniera accurata.

Tra pochi giorni sarai in tour con questo nuovo lavoro. Ci saranno anche brani legati al tuo passato?
No, nel mio live farò solo pezzi miei. Per rispetto proprio dei Prozac+, di quello che è stato e di quello che sto portando avanti ora.

Ti esibisci anche nelle vesti di dj. Pensi che essere dj equivalga a essere musicista?
Per come lo faccio io no. Mi cimento saltuariamente. Poi esistono dei dj che sono specializzati anche nel comporre e nel creare musica. È però un argomento che non conosco molto bene; mi lascio dunque lo spazio per ricredermi.

So che stai approfondendo l’aspetto vocale, dal momento che frequenti un corso di canto jazz…
Sì, mi sento un po’ ignorante in tal senso e sento il bisogno di studiare i vari aspetti musicali. Devo dire che non è molto semplice. Non lo sto facendo perché vorrei fare la jazzista; non c’è della progettualità in questo senso ma l’interesse a capire meglio i meccanismi della grammatica musicale.

A proposito di futuro: perché i Prozac+ non sono ancora ufficialmente sciolti?
Ti do una risposta da Prozac+: perché non lo sono (ride, ndr).

Foto di Maurizio Camagna

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