Francesco Baccini: “Il mio omaggio a Luigi Tenco”

Uno spettacolo e un cd: ‘Baccini canta Tenco’ è l’omaggio di Francesco Baccini al grande Luigi Tenco. Vengono alla luce aspetti meno conosciuti di un Tenco quanto mai attuale: le sue canzoni sembrano non avere età, i testi accattivanti e provocatori reggono lo scorrere del tempo come pochi. Molti hanno sempre descritto il compianto cantautore genovese come malinconico e triste, ma in realtà in questo live emergono anche i suoi lati più sociali ed ironici. Arrangiamenti acustici con un tocco di modernità, con la regia di Pepi Morgia, recentemente scomparso, rendono questo spettacolo unico e il cd ben ne riflette lo spirito. Baccini non cerca il confronto, ma si cimenta in un’operazione che riesce a ricreare in pieno le atmosfere di un concerto che Tenco all’epoca non ebbe la possibilità di fare. Questa la nostra intervista.

Com’è nata l’idea di omaggiare Luigi Tenco?
L’idea è partita qualche mese dopo l’uscita del libro autobiografico ‘Ti presto un po’ di questa vita’. Già nel best ‘Ci devi fare un goal’ c’era una versione di ‘Vedrai vedrai’ che il mio fonico aveva registrato in studio a mia insaputa: avevo suonato questa canzone durante una pausa, ignorando che qualcuno mi stesse registrando. Alla fine me l’ha fatta risentire, mi è piaciuta e ho deciso di inserirla nel greatest hits. Successivamente ho iniziato a cantarla nei concerti, e ho visto che piaceva: ogni volta che la eseguivo, il pubblico apprezzava molto. Così ho voluto portare in giro per l’Italia un vero e proprio tour, cosa che Tenco non ha mai fatto perché all’epoca, appunto, non si facevano i tour. Il concetto di concerto così come lo conosciamo noi è nato a metà degli anni ’70, e quindi abbiamo visto all’opera su un palco personaggi come Paoli e De Andrè, ma non Tenco: di lui esistono soltanto pochi passaggi televisivi, per di più in playback. Così, per questo spettacolo, abbiamo provato a immaginare come Tenco avrebbe costruito la scaletta di un suo concerto.

Nella creazione di questo show hai coinvolto anche Pepi Morgia, che oggi non è più tra noi…
Pepi Morgia, purtroppo, ha pensato di lasciarci quest’anno. È stata una grande perdita. Quando gli ho proposto questo spettacolo, lui ne è stato entusiasta. Pensando alla scenografia di questo concerto, Pepi ha fatto come sempre un ottimo lavoro, puntando sulle luci bianche ed immaginando un teatro del 1968. Gli arrangiamenti di quegli anni erano un po’ da rivisitare: all’epoca si usava sempre l’orchestra, anche per brani più ironici che magari avrebbero meritato una veste più essenziale. Sono convinto che, se fosse vissuto ancora, Tenco si sarebbe reinventato, come ha fatto ad esempio Fabrizio De Andrè quando ha collaborato con la Pfm.

Sul palco sei impressionante: sembra quasi che tu e Tenco siate la stessa persona.
Mi hanno sempre detto che somiglio a Tenco, tanto che, quando ero più piccolo, mi chiamavano Luigi. Un giorno, in ascensore, incontrai un tipo che non faceva altro che fissarmi. Alla fine si presentò, dicendomi: “Salve, sono Valentino Tenco. Sa che lei somiglia incredibilmente a mio fratello?”. Evidentemente era un segno del destino. Sta di fatto che ho iniziato a scrivere canzoni ironiche proprio per essere diverso, per non somigliare né a Tenco né a nessun altro. Oggi ti elogiano se somigli a qualcuno, ma all’epoca era il contrario. Anche in questo spettacolo ho voluto enfatizzare il Tenco più ironico, quello poco conosciuto ma che c’è sempre stato. Pensa che i miei amici scambiavano i pezzi ironici di Tenco per i miei! E sul palco questo gioco di sovrapposizioni si vede.

Cronologicamente parlando, lo spettacolo si ferma a qualche settimana prima della morte di Tenco. Perchè?
La morte di Tenco ha schiacciato completamente la sua vita: si parla solo del suo decesso, a differenza di altri artisti che dopo la morte hanno avuto più popolarità che da vivi. Mi piaceva l’idea di focalizzare l’attenzione, per una volta, più sulla sua vita che sulla sua morte. I testi di Tenco sono impressionanti, potrebbero essere stati scritti ieri. Lui era avanti già cinquant’anni fa: è l’Italia, semmai, che in tutto questo tempo non ha mosso neanche un passetto. Tenco credeva in un mondo migliore, era un idealista. Ed è stato il primo in assoluto a usare la forma canzone trattando argomenti sociali: pensiamo a ‘Cara maestra’, che fu censurata dalla Rai, a ‘Ragazzo mio’, ma anche a ‘Li vidi tornare’, che era la versione originale di ‘Ciao amore ciao’, incentrata sulla guerra.

Che differenza individui tra Tenco e De Andrè?
Tenco cantava la sue canzoni in prima persona, con un maggiore pathos, mentre De Andrè si esprimeva in terza persona, raccontando delle storie. La mia veste più intimista, come ‘Ho voglia di innamorarmi’ per intenderci, arriva da Tenco. Le canzoni d’amore sono le più difficili da scrivere, e per me ‘la canzone d’amore’ è quella di Luigi Tenco.

Alla fine di questo spettacolo canti anche una canzone di De Andrè, del quale eri diventato amico. Come nacque il vostro rapporto?
Avevo appena realizzato con la Sugar il mio primo album, ‘Cartoons’, e stavo facendo uno showcase in un locale di Milano quando a un certo punto vidi tra il pubblico uno che somigliava a De Andrè… e la signora accanto a lui sembrava Dori Ghezzi. Ebbene, erano proprio loro due! A fine serata, Fabrizio mi ha voluto conoscere. La sua curiosità nei miei confronti era nata dal fatto che in quel periodo Vincenzo Mollica conduceva una trasmissione su Raiuno, durante la quale mandava spesso in onda alcuni miei pezzi piano e voce che all’epoca non erano ancora usciti. Una sera De Andrè, guardando la televisione, mi ha visto e ha esclamato: “Ma questo è Tenco a colori!”. Così mi ha voluto conoscere. Sono stati dieci anni di frequentazione straordinari. Passavo le nottate a casa sua e parlavamo di qualunque argomento.

Ci sono delle analogie tra Tenco e Pier Paolo Pasolini?
Certamente. Pasolini, così come Tenco, è stato un altro grande personaggio: anche nel suo caso, il linguaggio utilizzato era facilmente comprensibile dalla gente, e questo costituiva un pericolo, perché più le persone ti capiscono, più diventi pericoloso per il sistema. Tenco era un intellettuale che non faceva l’intellettuale, perché diceva le cose chiaramente. Sicuramente presenta dei punti in comune con Pier Paolo Pasolini.

Giorgio Gaber è stato tra i padri del teatro-canzone. E Tenco?
Io credo che anche Tenco debba essere considerato un punto di riferimento per questo genere. Per il programma televisivo ‘La comara’, di cui oggi non esistono più testimonianze negli archivi Rai, gli furono commissionate sette ballate, tra cui ad esempio ‘La ballata della moda’, che io propongo nel mio spettacolo. Già lì si parla di teatro-canzone. Il problema di Tenco era che lui risultava più convincente nelle canzoni intimiste perché all’epoca, come dicevo prima, i dischi si facevano con l’orchestra, mentre i pezzi ironici funzionano solo se hanno un arrangiamento essenziale. Questo, nel caso di Tenco, non è avvenuto. Gaber, tranne qualche eccezione, non ha fatto brani intimisti: lo ricordiamo per le cose più ironiche.

Come è stato accolto questo spettacolo dagli eredi di Tenco?
La famiglia Tenco ha apprezzato e mi ha detto che se Luigi lo vedesse oggi ne sarebbe orgoglioso. Io stesso immagino di suonare le sue canzoni come se lui fosse seduto in platea, in un angolo. Quando fai il concerto crei una composizione di canzoni, costruisci una scaletta per mettere in mostra tutte le tue anime. Con Armando Corsi, per questo spettacolo, abbiamo semplificato gli arrangiamenti, rendendo tutto molto acustico e utilizzando suoni moderni. E’ stato bello vedere che tra il pubblico c’è un range molto ampio: vengono a sentirmi giovani e meno giovani.

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