Tartufo, l’impostore che non passa mai di moda

Tartufo

Troppo bravi. Mani arrossate dagli applausi e l’istinto che spingeva ad alzarci in piedi per una standing ovation. La prima di “Tartufo” è stata un trionfo. La commedia, divertente evergreen di Molière, l’abbiamo vista interpretata da molti, ma mai come la compagnia Teatro del Sogno, diretta da Nicasio Anzelmo, che ha tradotto e adattato il testo splendidamente, dandogli ritmo e rendendolo ancora più moderno e attuale. Massima professionalità da parte di tutto il cast, dal principale interprete che dà nome alla pièce alla piccola partecipazione dell’ufficiale, Gianpiero Botta. Attori e attrici sono stati una scelta azzeccatissima per ogni personaggio, a cominciare da Victor Carlo Vitale, più che eccezionale nei panni di Tartufo, uomo di chiesa, viscido e infingardo, impostore della fede e della fiducia.

Monica Guazzini è Dorina, una cameriera strepitosa; ricorda, e osiamo dire che a modo suo supera, la bravura e l’aplomb di Mariangela Melato. Madame Pernelle è l’anziana del gruppo, ma sembra una ragazzina nella vita, Gioietta Gentile ha lo humor spiritoso milanese che ricorda Franca Valeri, a tratti anche in scena. Ludovica Di Donato, la più giovane, interpreta Mariana, bravissima, con una perfetta mimica facciale e un’elasticità del corpo che esprimono impaccio ed entusiasmo, assieme al timbro della voce cucito appositamente addosso a una figlia promessa in sposa dal padre a un uomo che non ama, a Tartufo, appunto, che proverà sfacciatamente a “scopare” la madre della ragazza, moglie del suo caro amico. Colpisce il termine forte del 20esimo secolo, “scopare”, che stona con il resto del linguaggio, ma è scelto appositamente dal regista probabilmente per affondare un pugnale nel tema del tradimento. Al tempo di Molière, forse, si usava dire “farsi” o “fottersi” una donna. Ma approviamo la modernizzazione del gergo per attualizzare l’intera opera, quanto mai contemporanea. Cambiano nomi, abiti, modi, linguaggio, pettinature, arredo della casa, ma l’essenza resta, nei secoli dei secoli.

“Tartufo” riveduto e corretto da Nicasio Anzelmo ci è rimasto dentro, ci ha davvero entusiasmato. Bravissimi, ancora una volta, tutti gli attori, non vogliamo dimenticare nessuno del cast, nessuno meno bravo dell’altro. Esilarante Alessandra Fallucchi, sensuale e maliarda, ma moglie onesta e complice, Elmira, di Orgone, a cui dà vita Sergio Smorfa. Poi, il cognato Cleante, animato da Giovanni Carta, e il fidanzato Valerio, interpretato da Mario Scerbo. Marco Usai è Damide, il fratello protettivo, agile e scattante. Tutti davvero ben amalgamati fra di loro, “bravi” è dir poco. Eleganti e appropriati i costumi di Rita Forzano e Roberta Frangella, incantevoli e magiche le scene di Daniele Cupini. Elemento chiave i movimenti coreografici di Eugenio Dura, per niente banali, non annoiano mai, non appiattiscono ma creano volume alle parole, una danza che darebbe spunto anche a una versione musicale della commedia. La scelta delle musiche spicca: in gran parte adattate dalla colonna sonora di Paolo Bonvino del film “La Matassa”. Ma il disegno di luci, spettacolare come le pennellate sulla tela di un capolavoro prezioso, sono fondamentali.

Diverte, ma fa riflettere “Tartufo”, una satira contro vizi e difetti della società nobile francese del ‘600, simbolo dell’ipocrita che indossa la maschera della devozione religiosa e della finta amicizia e che trae vantaggio tradendo la fiducia di altri per trarne vantaggi per sé stesso. Del commediografo e attore francese Molière, pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin, nato a Parigi nel 1622 e morto di tubercolosi nel 1673, “Tartufo” nella versione originale era una farsa all’italiana in tre atti che si concludeva con la vittoria di Tartufo. In scena la prima volta nel 1664. Poi, con l’intervento di Luigi XIV, l’opera fu corretta e divenne di cinque atti, finendo con la sconfitta di Tartufo. Era un momento storico delicato e la satira pungente non fu gradita agli ambienti conservatori e religiosi della monarchia, tant’è che fu proibito di rappresentare la commedia pubblicamente. E solo nel 1669 se ne venne a capo a favore di Molière quando, nel frattempo, la situazione politica cambiò e la censura venne revocata.

Dopo quasi 350 anni , oggi “Tartufo” è in scena al Teatro Arcobaleno di Roma fino all’8 dicembre. “Mai come oggi il ‘Tartufo’ è stravolgente nella sua attualità”, commenta il regista. “Ci ricorda modi, situazioni e persone che a noi oggi si manifestano come pseudo protagonisti nella politica e nella cultura italiana. Si ride, ma è pur sempre un riso amaro. Una squisita occasione per deliziarci dei nostri stessi mali”. Dulcis in fundo: la professionalità di una compagnia teatrale e la bellezza di uno spettacolo si notano dall’inizio alla fine, soprattutto quando il cerchio si chiude con gli inchini: perfetti, in sincronia, neanche un momento di sciatteria. Questa è arte. E senza nulla togliere all’accogliente teatro Arcobaleno, quest’opera sarebbe degna di teatri ben più grandi e conosciuti, molto di più di tante altre rappresentazioni ritenute più “importanti” magari solo perché nel cast c’è qualche personaggio televisivo. “Tartufo” di Nicasio Anzelmo e della compagnia Teatro del Sogno è di qualità. Unica critica è che non lascia spazio ad alcun commento negativo. Ottimo al 100%, per tecnica e passione, emotività e perfezionismo. È l’esempio di cosa vuol dire “fare teatro”. Assolutamente da non perdere.

Mi dispiace, i commenti per questo articolo sono chiusi