Ed Kowalczyk: il nuovo ‘The Flood and The Mercy’ è all’insegna del misticismo

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Ed Kowalczyk pare aver raggiunto il suo equilibrio grazie alla fede. L’assunto del suo nuovo ‘The Flood and The Mercy’ è che con l’esperienza mistica si può trovare la forza per combattere ogni avversità. Questa la tesi del cantautore americano che, in odor di redenzione, torna sulla scena certificando la propria inclinazione religiosa e aggregando nuove consapevolezze in una restaurazione rock. Consegnato agli annali, e ai tribunali, il passato con i Live, – i tre componenti del gruppo originario hanno avanzato una milionaria richiesta risarcitoria all’ex frontman per la violazione dell’utilizzo del brand – il presente di Kowalczyk è delineato in un album di chiara matrice christian rock.

L’introspezione permea gli undici brani (ventuno nell’edizione limitata commercializzata con l’antecedente ep ‘The Garden’), che filtrano tendenze refrattarie ad ogni innovazione stilistica. Ampiamente collaudata, la proposta musicale ricalca le orme della precedente vita artistica. L’interazione tra manierata melodia e convenzionali ritmi è mediata da strumming remmiani e cori dolciastri o da chitarre in overdrive e fragorose percussioni. Una miscela testata e per questo familiare, archetipo di un sound anni ’90 che reca la certezza di un ascolto scevro da imprevisti. A tratti anacronistico, certamente non di rottura, questo lavoro richiama il legame tra mainstream e indie che ha rivitalizzato il corso del rock a stelle e strisce degli ultimi 30 anni. E’ proprio grazie alla collaborazione con una delle maggiori figure di spicco del movimento – Peter Buck, special guest in ben sette brani – che il disco di Kowalczyk vanta maggior credito. Buck ci mette la chitarra, anche se il suo è un apporto formale più che sostanziale: assente il tocco, non pervenuto il guizzo creativo, manca il fregio del noto chitarrista dei REM. Una comparsata che fa il paio con la discreta presenza vocale della stellina Rachael Yamagata, nascosta più che valorizzata, in tre episodi.

Il disco nasce dalle considerazioni ascetiche che da qualche tempo compenetrano l’essenza del songbook di Kowalczyk, qui guidato dal riverbero de “La nube della non-conoscenza”. Il testo, scritto da un ignoto pensatore inglese del XIV secolo, insuffla filosofia e religione nel testo di ‘Seven’, bussola emotiva dell’intero disco. Il singolo è blando, speziato con suoni d’oriente, ed è solo uno dei tanti episodi in cui la rinascita spirituale è cronaca mid-tempo che convive accanto a brani dall’impeto dei tempi migliori. ‘Holy Water Tears’ e ‘All That I Wanted’ sono ballad dalle certezze granitiche, destinatarie di una verità evangelica seconda solo alle reprimende per eretici tratteggiate con l’energia disinibita di ‘Supernatural Fire’ e con quella solenne di ‘Watchman’s Fire’. Musicalmente persuasivo e apparentemente libero da convinzioni religiose – alla stregua dell’apertura sentimentale di ‘The One’ – risulta lo sferzante quattro quarti di ‘Parasite’, mentre ‘Take Me Back’ riagguanta il filo conduttore della devozione tra sprazzi hardcore.

Non solo slancio apologetico, ma meditazione sull’inattesa forza interiore che riaffiora nel momento del bisogno. Quella risorsa insperata, o forse solo sopita, che si erge come scudo per difendere attentati all’io e sopravvivere a insidiose tribolazioni. L’unguento migliore per lenire i morsi più rabbiosi e offensivi della sorte, gli stessi che Kowalczyk confessa di aver contato sulla propria pelle, anche se “è stato un momento caratterizzato da un cambiamento intenso e positivo”. Sono dinamiche contrapposte quelle delineate in ‘The Flood and The Mercy’, che riflettono una rappresentazione di valori in cui trova spazio anche ‘Cornerstone’, incisa come manifesto all’autodeterminazione, inno degli umili e baluardo di semplicità. La rilettura del raggae animista di Bob Marley volge al gospel e si congiunge ad una lunga coda (una ghost track strumentale), intrisa di suoni orientalieggianti e molto prossimi alla new age. Corposo, ricco di suoni solidi e imponenti, ma soprattutto caratterizzato da una voce efficace che si preserva densa e duttile dopo anni di carriera, questo terzo lavoro solista di Ed Kowalczyk non può considerarsi spartiacque con il passato. ‘The Flood and The Mercy’ rafforza la tesi che i primi attori degli anni ’90 sono tuttora capaci di ritagliarsi spazi anche in assenza di novità. Il cantautore americano licenzia un disco per formulare i dogmi del proprio credo e per compiacere quei fan che amano rifugiarsi in una rassicurante continuità stilistica.

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