“Beviamoci su!” Un brindisi con Paolo Villaggio

villaggio-3

“Dopo la vita cosa c’è dall’altra parte?”. Lo chiede Paolo Villaggio a un signore nel foyer del teatro Brancaccio a Roma, dove è in scena “Beviamoci su!”, un aperitivo speciale con l’attore genovese, lucido, realista e laico, come piace a noi. Ma lo spettatore, un 83enne che non dimostra apparentemente la sua età, non sa rispondere quando la versione intellettuale di Fantozzi incalza e vuole capire. Chiede una spiegazione Villaggio: “Lei crede in Dio?”. Il signore risponde: “Sì”. “E allora mi spieghi come funziona?”, insiste Villaggio, ma una risposta non arriva. Lo spettatore resta in silenzio, imbarazzato.

Indossa un caftano azzurro carta da zucchero e una giacca rosata, spiccano barba e capelli color neve; è seduto, saggio e rilassato, racconta e coinvolge il pubblico nel suo monologo a braccio. Improvvisa seguendo un canovaccio mentale. Ogni sera gli argomenti variano. Alla prima ha parlato molto della sua dubbiosa esistenza di Dio. Qualche stuzzichino e prosecco, e tante risate. Battute sul sesso non sono mancate, sempre con molta eleganza e simpatia. Villaggio punta ancora una volta lo spettatore più anziano della serata e gli chiede se è ancora attivo sessualmente. Arriva inaspettata la risposta: “Non ho chiuso”. Poi, torna sulla cultura cattolica parlando di matrimonio: “C’è la tendenza a fingere di essere fedeli”, dice Paolo Villaggio che sostiene, invece, che molte coppie si tradiscono. E aggiunge: “Pur rimanendo affezionati alla moglie”. Parla delle vedove, che sono privilegiate, non delle disperate che non sanno cosa fare. Anzi, dovrebbero gioire invece che piangere al funerale dei mariti, visto che per tutta la vita hanno fatto le “schiave” in casa, a lavare, cucinare, a badare ai nipotini, etc. E non si rendono conto che essere vedove vuol dire aver raggiunto la libertà: “Possono guardare la tv e usare il telecomando come vogliono”.

Ricorda quando faceva l’intrattenitore sulle navi da crociera con Fabrizio De Andrè e c’era anche “lui”: Silvio, che da “zero” è diventato “l’uomo di cui si parla di più in Europa e nel mondo. E lui voleva questo”. Quando lo incontrò la prima volta sembrava uno “squilibrato” perché diceva di avere un “magazzino” vicino a casa sua dove voleva fare “una tv privata”. Racconta della sua vita, ma riflette e analizza sulla società. Torna negli anni ’50, quando gli Usa erano una super potenza, seguiti dal Giappone, dalla Germania e poi dall’Italia, “quarta potenza economica al mondo”. E chiede al pubblico com’era il clima in quegli anni, senza però essere nostalgici. “Non c’erano gli scioperi”, urla un signore seduto a uno dei tavolini. “E non eravamo sepolti in mezzo alle macchine”, dice Villaggio. “Allora si andava a piedi, non c’era lo smog e non venivano le malattie cardiovascolari. E poi, si sentiva l’odore del mare”.

Tocca tanti argomenti. Dall’invidia alla timidezza. Un aneddoto tratto dalla sua vita professionale: “Renato Pozzetto, 8 anni più giovane di me, aveva fatto un film, ‘Per amare Ofelia’, e subito dopo era diventato un attore pagatissimo. E io ebbi un disturbo”, ammette, mentre i presenti ridono, “che mi impediva di essere felice. Quindi, andai da un invidiologo, a Marsiglia, che mi disse: ‘Voi italiani’, detto con disprezzo, ‘l’invidia può provocare l’infarto, altro che solo bruciore di stomaco’”. È ironico, ma anche schietto e non ha peli sulla lingua. Tocca argomenti anche delicati, come la disabilità. E dice che gli fa impressione vedere “quell’atleta senza gambe, con le protesi, che corre i 100 metri. È una finta pietà”, dice. Per sdrammatizzare aggiunge: “Nella vita bisogna avere fortuna, e così da invidiosi si diventa invidiati”. E poi: “Viviamo una vita basata sul successo. Ed è naturale avere invidia, ma i cattolici fanno finta di non provarla”. Attacca anche le mamme che dicono ai propri figli che sono “i più belli del mondo e quindi quei ragazzi penseranno per tutta la vita di essere i più belli”. Bisogna cambiare la cultura. Colpa sempre delle mamme se i figli sono timidi: “Le mamme sono possessive, protettive e impediscono ogni libera iniziativa ai propri figli. Uno chiede a un bambino cosa vuole fare da grande e sua madre, da 180 metri, risponde urlando ‘l’aviatore!’. Siamo viziati di benessere da 100 anni”, dice. Mette in mezzo il potere dell’Occidente che “si sta dissolvendo”, avverte. “Fra 100 anni vedremo i cinesi sulle gondole”. Parla dell’Australia e di cosa lega ormai la gente all’Italia. “Bisogna vincere la paura di cambiare”, dice. “La speranza è basata su cosa?”, chiede. Dal pubblico, due giovani dicono che forse dovrebbero essere loro a cambiare il Paese. Villaggio sottolinea che il “grave disagio nei giovani è la timidezza”. E qui comincia a raccontare della sua infanzia e della sua timidezza, che assieme al fratello gemello si raggomitolava e si chiudeva a riccio quando la loro mamma, un po’ “tedesca” nei modi, diceva loro cosa fare.

Geniale. Paolo Villaggio è geniale. La timidezza in amore può essere devastante. E ricorda come si usava conquistare una ragazza: “C’era la dichiarazione. Si diceva: ‘Ti dispiace se ti accompagno a casa?’ e nel percorso si aveva il tempo di parlare e dire cose del tipo ‘Non so se ti sei accorta che io provo per te…’. Questa era la formula. Vi prego di fingere una leggera commozione ora che vi racconto come ho conquistato mia moglie, che aveva 15 anni. Presi un bicchiere e lo riempii di lucciole e lo avvicinai al suo viso, illuminandolo, aveva delle efelidi bellissime”. Un bel modo di raccontare e “fermare i bei momenti della vita”. Il pubblico segue come i bambini ascoltano le favole. Mostra poi due filmati storici della carriera del ragionier Fantozzi. E quando si riaccende la luce in sala torna a sfrugugliare ancora una volta, come se non bastasse, l’argomento ‘fede’, ricordando un suo incontro con Margherita Hack. “Che idea hai del creatore?”, chiese Villaggio all’astrofisica che rispose snervata, guardandolo “come un rettile”: “Mi fate tutti la stessa domanda del cazzo”. “L’invenzione più straordinaria è stata quella di Dio. I poveri ci credono che dopo una vita di merda si vada in un aldilà meraviglioso”.

A tratti potrebbe sembrare irriverente, ma dice la sua verità, che provoca prurito in chi invece crede profondamente nel Signore. A sua volta uno spettatore chiede a Villaggio: “E allora come spiega la nostra esistenza?”. Il mistero resta. Una cosa è certa: magari fossero tutti così gli aperitivi romani, di solito banali e noiosi. Evviva Paolo Villaggio, la sua sana follia e il suo humor tagliente.

Foto di Francesca Cordova

Dal martedì al sabato alle ore19,00, la domenica alle 20,30.
Per informazioni: botteghino teatro Brancaccio 06 80687231
oppure ufficio promozione 06 806787232
www.teatrobrancaccio.it

Mi dispiace, i commenti per questo articolo sono chiusi