Il ‘Progresso’ dei Deserto Rosso per rendere omaggio agli anni ’60 e ’70

Deserto Rosso

Si sono fatti conoscere dal pubblico con l’album d’esordio “Mi fanno male i capelli”, ma grazie a “Progresso” sono riusciti ad arrivare all’orecchio sopraffino della critica. Questo il percorso dei Deserto Rosso, alias Erika Savastani e Danilo Pao, che con l’idea di rendere omaggio alle band della scena musicale, perlopiù italiana, anni ’60 e ’70, hanno fatto centro rispolverando pezzi storici e di inestimabile valore. Da “Casa mia” degli Equipe 84 a “Messico Lontano” degli Albero Motore, Erika e Danilo si sono focalizzati solo sui pezzi che meglio rappresentavano il loro stile, riuscendo così – attraverso canzoni di altri autori – a mettere in risalto le loro doti musicali.

Un progetto curato nei minimi dettagli: dalla scelta dei musicisti (Fernando Pantini alle chitarre, Andrea Ruta alla batteria e Adriano Pennino al piano elettrico) alla copertina dell’album, opera dell’artista Seven Moods. Newsmag ha intervistato la voce del gruppo, Erika Savastani, che ha parlato di come abbia preso vita l’idea del disco-tributo (registrato e mixato da Roberto Rosu ai Forward studios di Grottaferrata), della scelta dei pezzi, della reazione positiva dei gruppi omaggiati e dei progetti futuri della band.

Erika, vuoi raccontarci come è nata l’idea di realizzare questo progetto?

Fare un disco di cover è un privilegio. Era qualcosa che volevamo assaporare da tempo: cantare le canzoni che ti piacciono, fare l’album che avresti voluto ascoltare, con il sound giusto… una specie di regalo!

Perché la decisione di rendere omaggio proprio alla scena musicale anni ’60 e ’70?

La volontà di fare solo band e non cantautori: questo ci ha indirizzato su quel periodo storico. Anche se il nostro background musicale è profondamente radicato nel rock anglosassone, in quegli anni in Italia c’erano così tante band con ottimi album e storie incredibili, che ci è sembrata una buona idea riproporre quei brani e realizzarli dal vivo con strumentazioni dell’epoca.

La scelta delle canzoni presenti nell’album è stata casuale o segue un preciso filo conduttore?

E’ il filo che tende le distanze tra noi e il nostro passato musicale. Le canzoni che sono state scelte per “Progresso” raccontano solo una parte di ciò che succedeva in quel periodo: abbiamo scandagliato la scena romana, ma anche quella di Busto Arsizio, e scelto solo canzoni aderenti alla nostra realtà contemporanea. Canzoni sempreverdi.

Avete avuto modo di far ascoltare le vostre rivisitazioni a qualcuna delle band omaggiate? Come è stata la reazione?

Si! Siamo stati contattati da alcuni componenti dei gruppi protagonisti di “Progresso”, e tutti si sono dimostrati entusiasti. Per noi è stato importante il loro attestato di fiducia: in fondo sono gli autori, è la loro storia, e volevamo che si sentissero omaggiati. In particolar modo con gli Albero Motore, che abbiamo incontrato più volte, si è instaurato un bellissimo legame d’amicizia e di musica fino a cantare con loro alla Casa del Jazz di Roma nella serata dedicata al ricordo del loro grande batterista Marcello Vento.

Quale è la canzone, tra quelle che avete reinterpretato, che si avvicina di più al mondo dei Deserto Rosso? E quella che avreste voluto scrivere?

Tutte le canzoni scelte ci rappresentano: “Progresso”, infatti, contiene 7 canzoni, e non siamo andati oltre. Ognuna è per noi un gioiello di scrittura.

Cosa c’è nel futuro dei Deserto Rosso dopo “Progresso”?

Stiamo preparando il live insieme a Fernando Pantini e Andrea Ruta, con i quali abbiamo registrato tutto il disco. Nel frattempo stiamo scrivendo canzoni nuove per il nostro prossimo album di inediti e proprio in questi giorni stiamo facendo una collaborazione con una giovane band che ci piace molto.

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