‘I tessitori di sogni’, Patti Smith scrittrice tra realtà e fantasticheria

copertina libro Patti Smith

“Ho sempre immaginato di scrivere un libro, quantomeno un libriccino, capace di trasportare il lettore lontano, in un regno inaccessibile alle misurazioni e persino al ricordo”. La migliore presentazione possibile de ‘I tessitori di sogni’ è offerta dalla sua autrice, Patti Smith. Scritto nel 1991, il testo scruta l’animo sensibile, poetico e artistico di una tra le più influenti icone del nostro tempo. Riedito oggi da Bompiani nella versione integrale, il libro aggiorna e accresce un sinuoso fascino narrativo per celebrare una personale ibridazione tra prosa fiabesca, biografia cronachistica e introspezione taumaturgica, volta a fronteggiare una “terribile e inesorabile malinconia”.

All’epoca della stesura, compiuta interamente a mano su carta millimetrata, Patti Smith abita con la sua famiglia in “una vecchia casa di pietra” situata nei sobborghi di Detroit. Lontana dalla scena musicale, ormai immersa in una condizione familiare che, al netto delle incombenze strettamente necessarie, lascia molti spazi vuoti, la Smith se ne sta “seduta per ore sotto i salici” persa in un mondo distante. Un mondo alienante, affollato da preoccupazioni che si fanno sempre più minacciose fino a trascendere in una profonda tristezza che solo l’arte può sconfiggere. A questa logica appartiene ‘I tessitori di sogni’, racconto di una donna ormai matura che cerca di ricucire lo strappo ricreato tra la vocazione familiare e l’inclinazione artistica. Affidare quei pensieri alla scrittura, dunque, sana da uno stadio di deperimento emozionale, placa l’insaziabile fame di creatività anche solo con il tratteggio di episodi “minori” di vita privata, privilegiando il personaggio sconosciuto e più lontano nel tempo, quello che anima i ricordi di fanciullezza. E’ la Patricia adolescente che aiuta la “poetessa rock interrotta” a fuoriuscire dal tunnel; è lei che, con vivida forza evocativa, racconta la genesi di una formazione personale imperniata sull’immaginazione, ingresso per un universo esclusivo che è zona franca da lacerazioni che non lasciano tracce visibili.

L’infanzia, agreste e selvaggia, passa per una casa che è felice covo e stazione di partenza per sogni e illusioni. E una siepe, di leopardiana memoria, che però non limita il panorama e non sbarra la strada, ma lo incornicia e, anzi, ne ribadisce la bellezza. Una bellezza “magica” capace di svelarsi solo agli occhi di quell’esile bambina a stento tenuta con i piedi ben piantati a terra da pesanti scarponi. E’ lei a tradurre visioni notturne in racconti onirici e vibranti, a farne il suo scudo protettivo; è lei ad intravedere al chiaro di luna quei misteriosi “tessitori di sogni”, a domandarsi che ruolo abbiano, a condurre indagini per capirne il senso. Il filo della narrazione è sempre teso tra realtà e fantasticheria e, pagina dopo pagina, il libro mantiene alte le aspettative e quasi sempre le onora. Le parole della Smith sono vergate con inchiostro sgorgato dall’anima e asciugate dal tormento, mostrano tutto il potere espressivo proprio degli artisti alla continua ricerca di un’altra verità, di un’altra chiave di lettura a ciò che è universalmente provato.

La seconda parte del libro, pur mantenendo continua la traiettoria autobiografica, è più dinamica e ancor meno inquadrabile, influenzata com’è da flashback frequenti e da slancio lirico poco romanzato. Il 30 dicembre del 1991 la Smith si concede un regalo per il suo quarantacinquesimo compleanno, ultimando ‘I tessitori di sogni’. Il desiderio di fermare su carta momenti che, diversamente, sarebbero andati persi è assolto, come la possibilità di fermare vita che altrimenti sarebbe scivolata via come un’outtake scartata da un disco. Un’opera che consente di comprendere meglio come occhi curiosi possano cogliere la grandezza dell’arte in ogni contingenza. Come fosse l’unico vero motivo di vita.

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