Il Cile: “Sto già lavorando al secondo disco e magari pubblicherò anche un libro”

Il Cile - Siamo morti a vent'anni

“Questa è la storia di un uomo che si muove nel bosco spinoso della canzone nazional-popolare” dice Lorenzo Cilembrini, in arte il Cile, nel brano ‘Il nostro duello’. Se è vero che riuscire ad emergere in questo ambiente è un’impresa sempre più ardua, lui, classe 1981, sta riuscendo a venire fuori armato solo di chitarra e parole taglienti e mai scontate. L’album ‘Siamo morti a vent’anni’ è uscito lo scorso agosto e in questi mesi i suoi singoli hanno occupato le radio accrescendo la popolarità del cantautore aretino, che in questi mesi ha collaborato anche con i Club Dogo nel brano ‘Tutto ciò che ho’. Recentemente inoltre Il Cile ha preso parte al Festival di Sanremo con il brano ‘Le parole non servono più’, con il quale si è aggiudicato due importanti riconoscimenti. Abbiamo contattato in esclusiva Lorenzo Cilembrini per parlare con lui della sua carriera e dei suoi progetti per il futuro.

Sanremo si è concluso per te con la vittoria del premio “Miglior testo”, assegnato dalla giuria di qualità, e del “Premio Assomusica”. Come hai vissuto questa esperienza e cosa hai provato nel ricevere questi due riconoscimenti?
E’ stata un’esperienza davvero emozionante, che non ha tradito le mie aspettative. Per certi versi la definirei anche stressante, perché in una settimana fai comunque la promozione che solitamente compi in un anno. E’ stato poi un onore ricevere il “Premio Assomusica” dal momento che in passato è stato vinto da grandi artisti, ma è stata un’emozione ancora più grande ricevere il “Premio Sergio Bardotti” per il testo più bello, anche perché, per chi come me fa il cantautore e spera di lasciare un segno con ciò che scrive, questa è davvero una grande vittoria!

Nel tuo album d’esordio sono presenti due brani che probabilmente sono molto significativi per te: ‘Cemento armato’, che è stato uno dei tuoi singoli che ha riscosso più successo, e ‘Siamo morti a vent’anni’, la title track. Come sono nate queste due canzoni?
Entrambe in maniera molto veloce. ‘Cemento armato’ l’ho scritta in un quarto d’ora mentre stavo andando in treno verso Firenze, dove lavoravo in quel periodo, in un momento della mia vita molto particolare. Dalla mia personalissima riflessione credo però sia venuto fuori un testo che si è poi rivelato oggettivo anche per molti miei coetanei e per persone di età diverse. Passando a ‘Siamo morti a vent’anni’, anche questo pezzo nasce da una condizione soggettiva difficile, dovuta al distacco da una persona che amavo, e da lì poi si è aperta una riflessione riguardo a quella che è la mia generazione, anche se poi ho notato, grazie ai messaggi ricevuti e alla presenza dei miei fan, che molti aspetti possono essere estesi anche ad altri. Partendo appunto da una crisi sentimentale, ho voluto usare questa provocazione del “morire a vent’anni”, che è chiaramente una frase ad effetto iperbolico. Aldilà di tutto, però, credo che ci sia un momento di transizione tra l’adolescenza e l’età adulta in cui si diventa in un certo senso più disillusi e concreti, e quindi si “rinasce” poi diversamente.

Un altro pezzo dell’album che sicuramente colpisce è ‘La ragazza dell’inferno accanto’. Di cosa parla questa canzone e c’è un fattore comune che ti ha inspirato nel comporre questo e gli altri brani che compongono il disco?
Questo album è stato un po’ un’arma a doppio taglio, nel senso che sapevamo che fosse rischioso uscire con un titolo così provocatorio. Però, se si va ad ascoltare la totalità dei pezzi, si coglie quasi un resoconto degli ultimi dieci anni della mia vita, comprese le situazioni che ho visto intorno a me. Il filo conduttore del disco, quindi, sono le mille sfaccettature della vita di un trentenne di oggi. Nel brano che tu hai giustamente citato, ad esempio, c’è una rappresentazione di come vivono alcuni ragazzi di oggi che tendono a trasgredire, in maniera a volte eccessiva, le regole del “quieto vivere”. Non giudico assolutamente nessuno, anche perché non amo farlo: volevo solo raccontare, e poi le proprie conclusioni le trae chi c’è passato, come me, e chi invece guarda le cose da un’altra prospettiva.

Lo scorso anno hai aperto i concerti di grandi artisti internazionali quali Ben Harper e i Cranberries. Cos’hai provato?
Credo che queste siano esperienze importantissime. Sono stato molto fortunato in questo senso perché ho aperto anche i concerti dei Negrita, con cui ho un rapporto di amicizia artistica e umana. Con Ben Harper sono entrato in contatto diretto più che con i Cranberries e devo dire che, oltre ad essere un grandissimo artista, si è rivelato anche molto umile: nella seconda tappa che ho aperto mi ha citato ringraziandomi, cosa che non capita quasi mai (ride, ndr). All’estero la musica è vista come un lavoro e un’arte allo stesso tempo e quindi riceve un trattamento quasi più “sacrale”. Ho potuto constatare la stessa cosa all’Heineken Jammin’ Festival, dove ero l’unico italiano e dove ho potuto conoscere grandissimi artisti stranieri e trovarmi a passare la serata con loro, parlando di musica in tutta tranquillità: questo mi fa capire che forse nel nostro Paese siamo un po’ arretrati per certi aspetti.

Quali sono i tuoi progetti e i tuoi desideri per il futuro?
Sto lavorando al secondo album perché è ovvio che non ci si può fermare, soprattutto quando si inizia a farsi conoscere ed apprezzare dal pubblico. Poi stiamo organizzando anche il tour estivo e parallelamente sto lavorando anche come autore, visto che sto scrivendo e che potrei pubblicare prossimamente un libro magari. In ogni caso cercherò di tenermi attivo con quello che so fare meglio: usare le parole in maniera creativa.

Mi dispiace, i commenti per questo articolo sono chiusi